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La Guerra e la Pace (Baldini Castoldi Dalai editore)
JEAN DANIEL - IL CONFLITTO ARABO-ISRAELIANO
martedì 6 marzo 2007
di Carlo Vallauri
Argomenti: Guerre, militari, partigiani
Argomenti: Mondo
Argomenti: Recensioni Libri
Argomenti: Jean Daniel
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Jean Daniel è uno dei più noti giornalisti francesi, autore di numerosi studi di politica internazionale. In La Guerra e la Pace (Baldini Castoldi Dalai editore) egli ricostruisce il conflitto tra Israele e la Palestina attraverso le cronache dal 1995 al 2003.
Nella prefazione all’edizione italiana l’autore tiene ad inserire questa sua poderosa e minuziosa opera, costituita da testi scritti man mano che in 50 anni di storia si susseguivano quegli eventi, in un quadro che, al di là dei conflitti terribili, guarda alle componenti religiose implicite in un confronto tanto aspro. E ripercorrendo le varie tappe, dall’arrivo di Daniel in casa di Ben Gurion, primo presidente del consiglio del nuovo Stato, in una Tel Aviv movimentata da una agitazione sindacale, a tutte le fasi della guerra del ’67, - dal cui esito sono derivate ulteriori lacerazioni del tessuto connettivo di quei popoli -, il lettore viene a trovarsi nel pieno di una disputa, tuttora aperta. Poteva essere ritenuta Israele uno Stato colonialista per aver provocato l’esodo di 700 mila palestinesi e adottato misure persecutorie contro 130 mila arabi viventi nel suo territorio? Questo interrogativo che coinvolge la questione dei rifugiati - vanamente sottoposta alle Nazioni Unite - tocca il punto più dolente di una “convivenza obbligatoria” tra i due popoli. E sono i caratteri propri degli israeliani ad impedire la loro integrazione in Medio Oriente? O vi sono altre cause?
Sin dall’inizio - come poi si vedrà per le 600 pagine - vengono posti problemi centrali, a cominciare dal movimento di resistenza palestinese, nelle varie fasi, con il ricorso periodico al terrorismo indiscriminato in quella terra “santa” per le tre grandi religioni del monoteismo. Le operazioni internazionali si sono scontrate con intransigenze nazionaliste da ambo le parti. E Daniel dedica pagine interessanti alla personalità di Arafat, il quale - osserva l’A. - ha cercato di improntare il proprio atteggiamento e la propria strategia al modello israeliano. Erano - aggiunge, riprendendo un noto saggio di Frielander - due intransigenze che si accavallavano. L’esperienza della guerra dei 6 giorni con la sconfitta di Nasser ha dimostrato certi limiti oltre i quali era difficile andare: la sua fu, secondo Daniel, una “sfida ingiustificabile”, duramente pagata.
Nel 1972 la resistenza palestinese assume caratteri sempre più duri: e, secondo il giornalista, all’origine delle atrocità del conflitto vi erano l’intransigenza israeliana e la mancanza di realismo dei palestinesi, due grandi forze nazionaliste che, per reciproca sventura, si sono risvegliate contemporaneamente. La guerra del Kippur (1973) riconfermerà, malgrado i successivi accordi, una incompatibilità assoluta che sussiste anche quando i diplomatici sostituiscono i generali. Ed il libro si sofferma ampiamente, per il periodo successivo, sulle aperture diplomatiche che però verranno interrotte dalle violenze operate per “ripulire. le sacche cristiane di Beirut”. Molto approfondita in proposito è l’azione politica svolta sia dagli USA che dalla Francia nonché il ruolo esercitato da Sadat. Questo presidente egiziano - osserviamo - è stata una delle personalità maggiori apparse in quel periodo nel medio Oriente, grazie alla sua “passione”, scrive Daniel, e alla sua preparazione e alle sue attente capacità di confronto.
La guerra del Libano dell’82 costituisce una terribile prova, sulla quale il libro riferisce dettagliatamente, ponendo in rilievo anche il ruolo di Mitterand. Le stragi di Sabra e Chatila rimangono tra le pagine più nere della seconda metà del XX secolo: l’OLP aveva tentato di attrezzarsi nel Libano con un proprio esercito e lo Stato maggiore israeliano si è puntualmente incaricato di distruggerlo. Nel frattempo il maggior impegno iraniano in quelle contese ha aperto nuove fonti di scontri e di fratture nel mondo arabo, come dimostrerà la lunga guerra tra Iran ed Iraq. Intanto si aggiungevano ulteriori fattori di tensione e di distruzione in seguito ai contrastanti con i legami tra partiti religiosi nei differenti Stati. Ed anche questo è un versante che l’A. affronta con pagine molto precise che giungono sino all’escalation degli anni ’90, quando la guerra del Golfo ha spostato l’attenzione internazionale.
Tutte le difficoltà, le contraddizioni, gli odi di quei popoli rivivono in questo libro con inquietante attualità. E le “cronache” giungono sino al 2002-2003, con gli interventi americani in Iraq e la politica di Sharon, il cui operato si scontrerò con gli estremisti della Jihad islamica. E il prezioso lavoro di Daniel si conclude con la considerazione che sono stati proprio i mass media anglosasssoni ad istruire “il più implacabile processo alle bugie di Washington e Londra” sulle cause dell’intervento anglo-americano del 2003 in Iraq.
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