Questo libro di Rodolfo Carelli è un canzoniere. Perché contiene poesie d’amore. Ma non solo.
Da Petrarca in poi, il canzoniere è la forma della poesia d’amore. Le poesie sono microcosmi, talora autosufficienti talora aperti, ma tutti inseriti nel macrocosmo che è il libro d’amore. Carelli ha raccolto le (sue) poesie d’amore e ne ha fatto, appunto, un (suo) libro.
Ma come racconta l’amore il (significativo e conclamato) poeta che è Rodolfo Carelli?
Nel libro, la narrazione si fa attraverso la rappresentazione, la descrizione della (mutevole) fenomenologia degli stati amorosi. Ma il poeta emerge con atmosfere ed espressioni singolarmente nuove, non (tutte) riconducibili alla sua precedente e riconosciuta poesia.
Già il primo componimento, di esplicito valore proemiale, impone la coesistenza delle immagini col ʻragionar d’amore’, la modalità scelta da Carelli per salvaguardare il suo ancoraggio alla tradizione illustre e, insieme, la sua propensione alla centralità, tutta novecentesca, dell’immagine.
Il primo amore fu
quello non detto
quello che rimase
alla finestra degli occhi
a spiare ogni passo
che trattenne il respiro
e temé di inghiottire
per non fare rumore
che se avesse potuto
avrebbe fermato
anche il cuore.
Così avviene in Lentamente, come in Parlarti, dove prevale l’argomentazione discorsiva, e in Singolare privilegio, o in Per un tuo umore e nelle composizioni contigue, nelle quali è al centro l’immagine, mentre Quante volte intreccia ragioni ed emozioni d’amore, pensiero e parola:
Quante volte
un cuore trafitto
tiene avvinta la lama
Non solo per amore
più spesso per timore
che colpisca ancora.
Dappertutto il canzoniere rievoca, per memoria poetica, le forme illustri. Ora, per impulso anaforico, come in Così lungo a morire, ora per collegamento fono semantico come il “brunito” di Da brunito che era, il sole, ripreso all’inizio del componimento immediatamente successivo Raffiora il nitore (“Riaffiora il nitore / dall’oro brunito / delle tue membra”)
Ma l’allusione costante è al mondo delle immagini ed alla grammatica amorosa della vita (storica e artistico-intellettuale) di Carelli, come in Piazza di Monte Citorio, dove la “Sera serena struggente”, permette al cupido osservatore precedentemente impegnato in probabili ‘maschie’ tenzoni politico-parlamentari, di concentrare il desiderio nelle immagini, ambedue femminili, del “giuncoˮ delle “gambeˮ e della “falce di lunaˮ; come in O dea imbronciata al mattino (“in attesa della metropolitana”); oppure come nelle riprese, crescenti nella parte finale del libro, dei modi stilistici novecenteschi, dalla terrestrità luziana de Il tuo squillo a Montale (Cambio l’acqua) e a Caproni (come in Amo te solo
dici, Del mio tizzo ardente e Povera mia poesia).
Già in passato, per tutta la sua ormai prolungata attività poetica, nelle inquadrature bozzettistiche ‘pontine’ (qui riprese in Dalla grigioazzurra balaustra dei Lepini) come nelle impegnative ascese ‘religiose’, (richiamate petrarchescamente, nella chiusa di questo libro), Carelli è riuscito a conciliare l’esperienza dell’uomo con le tecniche del poeta. Anche in questo canzoniere non viene meno l’istanza metalinguistica, la necessità di giustificare il prodotto della poesia con le ragioni della poesia. Si pensi a Lascia che ogni tanto (“Lascia che ogni tanto / un rigo registri in te / la mia vicinanza”); all’ammissione pensosamente ironica, nel ritmo impresso dall’ haiku, di Al chiodo fisso:
Al chiodo fisso
del tuo rifiuto
ho sospeso la cetra
Se ancora geme
dà la colpa al vento
e di Cambio l’acqua:
Cambio l’acqua
ogni giorno
per rinverdire
pensieri desideri
Ai nuovi faccio spazio
rinserrando le file
Tu sei di un’altra razza
cambi l’acqua e i fiori.