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Copertina del libro

DONNE che DIPINGONO. Sulle tracce delle artiste dal XVI al XXI secolo (Editore ‘et Graphiae’ , Foligno 2013) Collana Itinerari Romani

Le "Donne venute in eccellenza" nelle arti : l’espressione del talento femminile in pittura scultura e architettura

Un percorso di testimonianza e risarcimento verso artiste del passato e del presente
giovedì 23 maggio 2013 di Pietro di Loreto

Argomenti: Arte, artisti
Argomenti: Recensioni Libri
Argomenti: Consuelo Lollobrigida


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“Gran cosa è che in tutte quelle virtù et in tutti quegli esercizii ne’ quali, in qualunque tempo hanno voluto le donne intromettersi con qualche studio, siano sempre riuscite eccellentissime e più che famose, come con una infinità di esempli agevolmente può dimostrarsi a chi non lo credesse”.

Così inizia Giorgio Vasari una pagina delle sue “Vite dei più eccellenti architetti pittori et scultori da Cimabue infino ai nostri giorni”, dedicata alla presentazione della scultrice bolognese Properzia de’ Rossi, in cui non trascurava di annoverare anche altre donne che erano state o ancora erano protagoniste della vita artistica dei tempi.

Vero è che il grande biografo e storico oltre che artista aretino non tralasciasse di descrivere altri aspetti della personalità dell’artista, che “fu del corpo bellissima”, di “capriccioso e destrissimo ingegno”, nonché “innamoratissima di un bel giovane” il quale però “pare che poco di lei si curasse” e così via, come se per le donne valessero anche criteri di giudizio diversi da quelli dei loro colleghi, e come se la loro opera - insidiata dalla fragilità e dalle debolezze evidentemente ritenute insite nella loro natura- dovesse piuttosto essere inquadrata a metà strada tra la componente psicologico-uterina e quella più propriamente artistica.

Del resto è un fatto che nessuna donna il Vasari chiamò a partecipare alla fondazione della Accademia Fiorentina del Disegno di cui , come si sa, egli promosse la nascita in occasione della traslazione delle spoglie di Jacopo Carucci, meglio noto come il Pontormo, il 24 maggio 1562, dal Primo Chiostro di Santa Maria dell’Annunziata, alla cappella Montorsoli, posta nel chiostro del convento della stessa chiesa. Così come è un fatto che nei quarantasette capitoli che lo studioso aveva compilato e che dovevano regolare la vita della Accademia (la quale venne ‘ufficializzata’ grazie al consenso di Cosimo I° arrivato il 13 gennaio 1563), non si faceva cenno alcuno ad un qualche ruolo nè ad una qualsiasi componente femminile.

Non era ovviamente solo il Vasari ad avere probabilmente maturato una visione stereotipata anche delle donne impegnate nel campo dell’arte e della cultura, nonostante ne riconoscesse, come si è visto, le capacità intrinseche. Al contrario, in un’Accademia che metteva al primo posto il valore del disegno, cioè “il padre universale dell’arte nostra” come sosteneva lo storico aretino, che una donna si ponesse ad esercitarsi dal vero dinnanzi ai corpi nudi dei modelli, non poteva che apparire disdicevole ai più.

Vero è che molte cose sono cambiate da quegli anni, e tuttavia occorre riconoscere che la necessità di contrastare certi pregiudizi non è affatto tramontata, anche se l’idea di ridefinire in modo confacente e finalmente obiettivo il ruolo e soprattutto l’importanza delle donne nel campo della produzione artistica, nella pittura, nella scultura e nell’architettura in particolare, è da qualche tempo oggetto dell’attenzione degli addetti ai lavori.

In questa logica, in effetti, sono state attivate diverse iniziative. Come quella che si è tenuta a Firenze, nel 2011, con una esposizione, per il ciclo de I Mai Visti, nella sala delle Reali Poste degli Uffizi, dedicata –con un titolo che parafrasava Vasari- alle Autoritratte. Artiste di capricciose e destrissimo ingegno, in cui sono state esposte opere di pittrici cinque e seicentesche tratte dai depositi del Museo, con in più venti opere di artiste contemporanee, allo scopo di operare quasi “una simbolica compensazione per la scarsa attenzione tributata alla creatività femminile nei secoli” come recitava il Giornale degli Uffizi a commento dell’iniziativa.

Nella stessa direzione si è posta la scelta di dare vita ad una ricerca circa “le presenze femminili in arte nelle pinacoteche e nelle raccolte d’arte di Firenze” restringendo il campo a ventitré sole artiste, che ha portato alla pubblicazione di un testo intitolato Svelate. Il segno femminile… con l’obiettivo, come scrive l’architetto Mina Tamborrino, curatrice dell’evento, di “dare visibilità alla donna come artista e a quanto … abbia contribuito ad accrescere il nostro patrimonio artistico”.

Ma non è tutto; Cristina Acidini, nella Presentazione delle Svelate, ha riferito delle appassionate ricerche di Jane Fortune, autrice del libro pubblicato nel 2009, dall’evocativo titolo Invisible Women: Forgotten Artists of Florence nonché promotrice del convegno su Le donne artiste nell’età moderna tenutosi a Firenze nel 2012

Su questa scia ma con l’attenzione rivolta propriamente alla realtà romana e con una più ampia curvatura analitica, si pone l’ultimo libro di Consuelo Lollobrigida, Donne che dipingono. Sulle tracce delle artiste dal XVI al XXI secolo (cfr. logo) .

Occorre dire che quando compaiono libri come questo, è come se una sorta di sentimento di riparazione si facesse strada nei confronti delle donne artiste ( e non solo) insieme con la semplice verità che solamente la capacità, l’immaginazione, l’ispirazione, la felicità creativa dovrebbero costituire il metro di giudizio di chi opera in questo campo, e che dunque l’arte non ha sesso: una verità all’apparenza ovvia eppure ancora ostacolata, se è vero che molti luoghi comuni sono ancora di là dallo scomparire.

La Lollobrigida è una storica dell’arte da molto tempo impegnata nel compito non facile di dare visibilità ai lavori delle donne artiste, illustrandone la personalità, le capacità e i meriti spesso sottaciuti dagli studiosi o perfino mai indagati, tanto da relegarne il ruolo e l’opera –eccetto rari casi- tra le pieghe della storia dell’arte .

Suo infatti è il merito di aver fatto emergere, in una monografia inappuntabile sia a livello documentario che scientifico, peraltro ottimamente illustrata, edita lo scorso anno per i tipi Andreina e Valneo Budai Editori (fig. 1) , -dove inoltre, come scrive Sergio Guarino nella sua Introduzione, si uniscono “il metodo di una corretta filologia ai consolidati strumenti della connoisseurship” - la figura della pittrice Maria Luigia Raggi (Genova ante 1742 – 1813) una nobile fanciulla “costretta ad una monacazione forzata”, come non era raro all’epoca, educata in un Monastero genovese, quello della Incarnazione, e poi entrata nell’ordine delle Annunziate Celesti, meglio note come monache Turchine.

Come scrive la studiosa, la giovane Maria Luigia “decide di combattere un destino non voluto dedicando la vita alla pittura “ . Ella fu in effetti autrice di circa ottanta opere paesaggistiche (identificate e catalogate quasi tutte ex novo dall’autrice) scegliendo un genere non frequentato dalle sue colleghe dell’epoca e per di più appannaggio, se si può dire, di artisti di rilievo straordinario e che costituirono peraltro il suo punto di riferimento, come Claude Lorrain, Nicolas Poussin, Gaspard Dughet, e poi Gaspar Van Wittel e poi altri ancora, autori di invenzioni geniali che senza alcuna forzatura la Lollobrigida connette al lavoro della Raggi, rimarcando di quest’ultima se non l’originalità e l’inventiva, certamente la capacità e l’intelligenza operativa, che le consentiva di “rielaborare il testo originale nella sua personale cifra arcadico pastorale”.

Ebbe molto coraggio la suora genovese a misurarsi con quelle tematiche. Anche per quel che riguarda il genere, infatti, dovette probabilmente affrancarsi da un clichè consolidato. Non è un mistero che al grande rispetto dovuto per i grandi maestri si accompagnasse allora, per quante desiderassero intraprendere la via delle arti, l’esortazione, per non dire l’induzione, a trattare tematiche sacre o comunque di un senso estetico pudico e virtuoso.

Al contrario, Maria Luigia, scrive ancora la Lollobrigida “fu una paesaggista, una capriccista e una temprista raffinata”; e in effetti le sue vedute –molto spesso con la tecnica della ‘tempera’ appunto- si caratterizzano per l’ampiezza di respiro e per l’atmosfera elegante che promanano (figg. 2, 3 , 4) , frutto di un’impostazione perfezionata, potremo dire ingentilita o, meglio ancora, come precisa l’autrice, frutto di una poetica che “sembra in bilico tra un ideale perduto e una società in trasformazione”.

Ma l’opera pittorica della Raggi, anche se non completamente assoggetta, certamente non era estranea al gusto dell’epoca, al contrario, come sottolinea ancora Lollobrigida, ella contribuì anzi “ a far crescere il gusto per il pittoresco che trovava entusiastico riscontro in molte famiglie aristocratiche romane” . E non solo: ne risultarono ammaliati anche quanti perseguivano tanto un’idea di bellezza e spiritualità perduta, quanto di studio e formazione, come potevano essere coloro i quali, pittori, nobili, uomini di cultura in generale, si spostavano dai paesi nordici verso il Mediterraneo nel periodo del Gran Tour. Per tutti costoro, le opere della monaca genovese certamente rappresentarono un punto di riferimento, tanto quanto quelle degli artisti maggiormente ricercati ed affermati.

La figura della Raggi ricompare ora nell’ultimo testo dato alle stampe dalla Lollobrigida, Donne che dipingono, che si presenta anche come agile ed utile guida per quanti volessero esplorare i musei romani, le gallerie d’arte e le chiese della capitale, alla ricerca dei numerosi esempi di come il talento non sia una questione di ‘genere’ maschile o femminile, bensì testimonianza di abilità e maestria, da guardare con quel rispetto e quell’ ammirazione che non sempre hanno caratterizzato il passato.

In questo senso come scrive Daniela Porro nella Introduzione, il libro della Lollobrigida riempie anche un vuoto ed il suo primo merito è precisamente di aver registrato e sottolineato il ruolo delle donne artiste a Roma, coprendo un arco di tempo che va dal Rinascimento ai giorni nostri.

Scorrendo il volumetto è facile ripercorre l’iter biografico e artistico di personalità note o meno note, dalle ‘gradi maestre’ del passato, come Lavinia Fontana, Elisabetta Sirani (fig. 5), Artemisia Gentileschi (fig.6) , Angelica Kauffman (fig.7), alle ‘moderne’ del Novecento, quali Corinna Modigliani (fig.8), Benedetta (fig.9) Antonietta Rapahel Mafai (fig.10) , fino alle contemporanee Carla Accardi e Giosetta Fioroni.

Di queste artiste e di altre ancora, l’autrice sunteggia con maestria la vita e la formazione, fornendo altresì un’agevole guida circa il reperimento logistico dei rispettivi lavori, in un’apposita sezione intitolata Itinerari, dove viene specificato in quali palazzi pubblici, chiese, accademie, gallerie e musei sono allocate le opere, e dei quali peraltro vengono fornite note utilissime riguardo alla fruibilità e all’accesso.

Il libro si chiude con un interessante saggio intitolato Donne e Architettura dove si analizzano le figure e le opere ‘romane’ di personalità straordinarie, che però ebbero rilievo -e quindi salgono agli onori delle cronache- solo a partire dagli inizi del XX secolo. E’ il caso di Elena Luzzatto, prima italiana a laurearsi in Architettura nel 1925, quando cioè a cavallo tra gli anni Venti e Trenta, nel pieno dell’affermazione e del consolidamento della dittatura mussoliniana, è proprio una donna architetto, Attilia Travaglio Vaglieri, a contribuire all’affermazione di un gusto di regime, con le sue decine di progetti di piani urbanistici, palazzi, impianti sportivi.

Il secondo dopoguerra segna invece l’affermazione di un’architettura che evita i “richiami letterari e le scorciatoie” come scrive la Lollobrigida, grazie anche all’ampio ricorso a strumenti come il prefabbricato e l’acciaio: strutture trasparenti e leggere, colonnine d’acciaio invece che pilastri in pietra si ritrovano ad esempio nella Rinascente di Piazza Fiume, opera della milanese Franca Helg e del suo collega Franco Albini.

Ma sono le opere recenti di autentici talenti come Gae Aulenti –a cui si deve il ripristino e il riadattamento delle Scuderie del Quirinale (fig.11) -, o come Odile Decq – che ha progettato il recupero degli ex stabilimenti Peroni ora Museo di Arte Contemporanea (Macro, fig.12) - o infine come l’irachena Zaha Adid – che ha progettato il MAxxi (fig.13) – a definire al meglio il percorso creativo delle donne in questo campo. Il lettore che vorrà approfondire potrà agevolmente farsi un’idea dell’importanza eccezionale di questi lavori, dei riconoscimenti internazionali che hanno portato alle geniali progettatrici, di come questi spazi siano tra “i più dinamici e all’avanguardia della capitale”.

E tuttavia, rimanendo nel campo delle donne architetto, se tutto si sa di quanto prodotto e progettato a partire dagli inizi del Ventesimo secolo, girando molto indietro lo sguardo, precisamente di oltre duecento anni, non mancano le sorprese.

A cominciare dall’apprendere che nel corso del Seicento, accanto ad autentici ‘mostri sacri’ come Bernini, Borromini, Pietro da Cortona ecc. incarichi di notevole prestigio ebbe anche la architettrice Plautilla Bricci (Roma 1616 – post 1696), che fu rappresentante insigne dell’Accademia di San Luca oltre che “l’unica donna architetto dell’età moderna finora nota” come la definisce la Lollobrigida, secondo la quale infatti occorre fare “un salto di duecento anni prima che altre donne si occupino di architettura”.

La Bricci (su cui l’autrice ha in corso di stampa una monografia completa) educata alla scuola del Cavalier d’Arpino, fu attiva tanto nel campo pittorico che architettonico , lavorando per le famiglie romane più illustri del tempo, come ad esempio i Barberini. La sua fama è dovuta però in particolare a due commissioni ricevute nella seconda metà del XVII secolo: la prima consisteva nel progettare ed edificare una villa fuori Porta san Pancrazio –distrutta nel corso dell’assedio francese del 1849 alla Repubblica Romana- per l’abate Elpidio Benedetti, mediatore in Roma nientemeno che per il Re di Francia Luigi XIV, vale a dire l’uomo più potente del momento.

L’altro e certo più prestigioso incarico lo ricevette, sempre grazie all’impegno dell’abate Benedetti, per la realizzazione della Cappella di San Luigi nella Chiesa della nazione francese, appunto San Luigi dei Francesi, che si può ammirare ancora oggi :”Qui l’architetto disegna la pianta e l’alzato della cappella; cura i dettagli decorativi e dipinge la grande pala raffigurante il Re” (fig.14).

Non si conosce la data precisa della scomparsa di Plautilla Bricci. Dalle ricerche della Lollobrigida si sa che visse per oltre ottanta e gli ultimi anni li passò nel rione Trastevere registrata nella parrocchia di san Francesco a Ripa; non è impossibile pensare che possa essere stata attiva anche oltre le commissioni suddette; ed in questo senso la prossima pubblicazione della studiosa potrà chiarire altri aspetti relative alle vicende esistenziali ed artistiche di una protagonista dell’arte barocca, una protagonista donna.

 

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