a cura di
Silvana Carletti (Dir.Resp.)
Carlo Vallauri Giovanna D'Arbitrio
Odino Grubessi
Luciano De Vita (Editore)
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Ultimo aggiornamento
19 aprile 2024
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Pubblicato nel 1925 a puntate, in versione definitiva l’anno dopo, ma iniziato nel decennio precedente, l’ultimo romanzo del Genio agrigentino è la summa del suo pensiero, della sua sterminata riflessione sull’Essere e sull’Apparire, sulla Società e l’Individuo, sulla Natura e la Forma. Attualissimo, nella descrizione della perdita di senso che l’Uomo contemporaneo subisce di fronte ai sistemi sociali, che finiscono con l’annullarlo, inglobandolo: dallo Stato alla Famiglia, dall’istituto del Matrimonio al Capitalismo, dalla Ragione alla Follia.
Attraverso diverse scene umoristiche ci lascia intravedere la sua filosofia dove l’uomo scopre di essere una parte infinitesimale dell’universo e nello stesso tempo la sua capacità di compenetrarsene.
L’uomo dunque non può capire né gli altri né tanto meno sé stesso, poiché ognuno vive portando, consapevolmente o, più spesso, inconsapevolmente, una maschera dietro la quale si agita una moltitudine di personalità diverse e inconoscibili.
Uno perché ogni persona crede di essere un individuo unico con caratteristiche particolari;
Centomila perché l’uomo ha, dietro la maschera, tante personalità quante sono le persone che ci giudicano; Nessuno perché, paradossalmente, se l’uomo ha centomila personalità diverse, è come se non ne possedesse nessuna, nel continuo cambiare non è capace di fermarsi nel suo vero "io".
Ogni persona ha un proprio modo di vedere la realtà, non esiste un’unica realtà oggettiva, ma tante realtà quante sono le persone che credono di possederla, ognuno con la propria "verità".La difficoltà che sperimentiamo nell’incomunicabilità genera un sentimento di solitudine ed esclusione dalla società e persino da sé stessi. Questa discordanza agita il nostro spirito e ci fa scoprire di essere "uno, nessuno, centomila".
Come «forestieri della vita», cerchiamo un senso all’esistenza, l’identificazione di un proprio ruolo, che vada oltre la maschera, o le diverse e innumerevoli maschere, con cui ci presentiamo alle persone più vicine.
Un’ouverture dalla quale si dipanano sia la vicenda che il suo commento. Siamo in molti luoghi, cioè in nessuno. La mente del Protagonista, certo. Ma anche una cella, una stanza d’ospedale o di manicomio. E’ un luogo “non-luogo”, che però si riempie subito di visioni. Ecco, allora, che le pareti della scatola, risultano sì bianche, ma come calcinate. Intonacate da materiale denso, grumoso, impervio.
L’eleganza formale di un Maestro come Pattavina e l’ambigua attrice Marianella Bargilli, interpreta sia la moglie Dida che la “quasi amante” Maria Rosa, provocantemente ingenua e mutevole. Uno spettacolo di grande interesse e importanza, avvincente.
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