a cura di
Silvana Carletti (Dir.Resp.)
Carlo Vallauri Giovanna D'Arbitrio
Odino Grubessi
Luciano De Vita (Editore)
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LDVRoma
E se prima eravamo in dieci
A ballare l’hully gully…
Adesso sono solo
A ballare l’hully gully
Quando ci sforziamo di adeguarci agli inevitabili cambiamenti epocali, spesso ci tornano in mente immagini del passato e numerose riflessioni sgorgano spontanee dalle nostre menti in questi tempi difficili che ci mettono a dura prova. E alla fine emergono ricordi che destano in noi qualche rimpianto, anche se ci riteniamo fortunati per essere ancora vivi, mentre tanti sono stati già falciati da pandemia e guerre.
In effetti dopo la II guerra mondiale, negli anni ’50, la gente aveva ritrovato davvero “il piacere di stare insieme”, accanto ad un braciere o ad un caminetto: ci si riuniva nelle case non solo con gli amici, ma anche semplicemente in famiglia con genitori, nonni, zii e cugini, per dialogare, confrontarsi, apprendere dagli anziani, in uno scambio reciproco radicato negli affetti. E anche all’inizio degli indimenticabili anni ’60 accadeva spesso che mentre gli adulti giocavano a carte o parlavano tra loro, noi giovani mettevamo un disco e ci divertivamo danzando al ritmo di canzoni e balli nuovi. Altro che social e messaggini whatsApp!
Le famiglie allora erano numerose: la sottoscritta aveva tre sorelle e anche il mio ragazzo aveva due sorelle e un fratello, così se ci incontravamo eravamo già in 8 e ma mano che anche gli altri si fidanzavano, il gruppo cresceva sempre più. Che divertimento ballare insieme, non solo rock and roll, surf, twist, chachacha, ma in particolare l’hully gully che per noi era diventato quasi un simbolo di unione, equilibrio, eleganza in un ballo di gruppo in cui ognuno faceva la sua parte creando armonia, senza sbagliare nemmeno un passo. Quanti sogni avevamo allora, quanti ideali!
Esploso nei primi anni ’60, l’hully gully era una variante del Madison, ballo di gruppo nato in Francia tra il 1957 e il ’59, capace di mettere in riga molti ballerini. E il Madison a sua volta discendeva dallo Shim Sham in voga negli Stati Uniti tra il 1920 e il 1930, quando al termine di vari spettacoli, musicisti, cantanti e ballerini, ballavano tutti insieme e invitavano il pubblico a partecipare al ballo. Insomma i balli, come le canzoni, ci ricordano determinate epoche e momenti particolari della nostra vita e anche l’hully-gully, come tutti i balli di gruppo, nasceva dal desiderio di socializzare, di divertirsi insieme. In seguito forse solo la Macarena negli anni ’90 è riuscita a coinvolgere giovani, bambini e anziani, tutti in fila a ripetere figure semplici al ritmo di una musica coinvolgente.
Senz’altro i giovani ancor oggi continuano a ballare e a cantare canzoni, ma ora tutto ciò avviene nelle discoteche o all’aperto nei maxi concerti o nei vari tipi di street dance, non avviene più in casa, in famiglia, dove si riunivano persone di tutte le età. Viviamo in un’epoca in cui ognuno è chiuso in un suo mondo come le monadi descritte dal filosofo tedesco Leibniz, ognuno alza le mura della sua “cittadella” (A J. Cronin), incapace di invitarti a casa sua nemmeno per prendere un caffè insieme, anche se vive nella stessa zona: parenti e amici che un tempo si frequentavano, ora si parlano sui social o su whatsApp! Purtroppo per gli anziani sono davvero tempi duri, poiché tra quelli che già sono partiti per un mondo migliore e i coetanei malati, c’è poco da stare allegri. I figli e i nipoti fanno quel che possono in un mondo globalizzato che purtroppo sempre più li costringe a cercare lavoro lontano da casa, spesso perfino all’estero. Altri trascurano i genitori anziani per puro egoismo, dimenticando che la vita è una ruota e che anche loro un giorno diventeranno vecchi.
E così, parafrasando la famosa canzone di Vianello che un tempo ci faceva danzare tutti insieme… mio marito ed io ora cantiamo: “E se prima eravamo in 10/A ballare l’hully gully…/Adesso siamo solo in 2/A ballare l’hully gully.
E in verità ci riteniamo fortunati, poiché siamo ancora in due e ci facciamo buona compagnia.
Comunque desidero chiudere il discorso in modo positivo ricordando il libro di Milly Carlucci “La vita è un ballo. Ballando siamo tutti stelle” (Ed Rai Libri, 2019), di cui riporto qui uno stralcio della presentazione: “Ballare è sinonimo di vivere e di amare, è quel passo, quell’istinto, che parte da dentro e ci porta a diventare ciò che siamo. «Lasciateci leggere e danzare, due divertimenti che non potranno mai fare male al mondo», affermò Voltaire. Il ballo è più che mai una medicina per il corpo e per l’anima. Ogni ballo porta con sé una promessa di libertà e di fantasia, colori e sapori del mondo, un passaporto per viaggiare lontano, ma anche dentro di noi…”.