Il pensiero filosofico è spesso troppo zelante nel ricostruire macrocategorie dove vengono stipati fatti ed epoche storiche decisamente lontani e diversi fra loro. Questa operazione, oltre a essere inopportuna perché semplifica quanto in realtà è multiforme e complesso, ha anche il torto di essere funzionale a metanarrazioni decisamente poco innocenti. Ne è esempio tipico la cosiddetta ordinaria distinzione tra moderni e postmoderni, oppure le varie filosofie che parlano della storia dell’occidente come di un percorso “destinato” o “folle” perché uscito fuori dai binari di una verità oggi compresa solo da pochi – e da pochi spiegabile.
In Paragone degli ingegni moderni e postmoderni, saggio del 1989 ma ancora attualissimo, il filosofo Paolo Rossi si cimenta quindi in un compito arduo, quasi donchisciottesco: combattere il main steam culturale presente in Italia e in tante università straniere dedite a sposare con troppa leggerezza tesi e idee tutt’altro che scontate o necessarie – se non a far fare carriera a chi le promuove. Le critiche rivolte a grandi pensatori del Novecento – da Heidegger a Severino, da Volpi a filosofi star della sinistra – hanno l’obiettivo di riportare l’attenzione dello studioso e del lettore a un metodo più scientifico e ad analisi meno ammantate di sacralità.
Cosa significa? La critica dell’autore è cristallina: molti filosofi vestono il loro pensiero di un vocabolario ermetico, oscuro, quasi mistico per affermare una idea di verità contraria alla mentalità progressista e democratica.
Ciò che è vero, per Rossi – e concordiamo con lui - può e deve appartenere a tutti, essere verificabile e condivisibile. Gli scienziati, con le loro scoperte, ne sono un esempio. Un esperimento effettuato in Nuova Zelanda può essere riprodotto in Argentina, smentito o confermato. Coloro i quali, invece, propongono un sapere iniziatico, ermetico, non solo negano le fondamenta della conoscenza d’oggi, ma fanno una scelta politica mascherandola per ‘naturale’. Nodo centrale dell’analisi di Rossi è proprio palesare quanto si insinua tra le trame del pensiero aurorale, misterico.
Similmente ad Adorno ne Il gergo dell’autenticità, (pensatore non risparmiato dalla critica), lo studioso rileva che i filosofi attratti da una tale prospettiva elitaria e antidemocratica non sono altro se non seguaci del pensiero conservatore antimodernista. Ossessionati da un tempo in cui dicono (mentendo) regnasse la verità, la purezza e l’innocenza, si scagliano con tutte le forze contro l’età moderna, giudicata fonte di ogni male. La scienza, la tecnica, il progresso sarebbero i tre elementi che hanno allontanato l’uomo da un Vero storicamente mai esistito.
La risposta dunque non è altro che reazione: da Evola a Severino, troppi filosofi contemporanei sono semplicemente “figli di Heidegger”, bollato definitivamente non solo come un uomo nazista, ma come l’autore di una filosofia nazista.
L’amore per un linguaggio criptico, l’idea per cui l’intuizione, o meglio l’iniziazione da maestro a discepolo porti la vera sapienza, attraversa questi linguaggi per Rossi banali e fuori dalla realtà. La verve polemica è acuta, e non si risparmia con un filosofo in particolare, Emanuele Severino, a cui dedica pagine al vetriolo. La cultura italiana degli ultimi 30 anni, corroborata da un sistema accademico clientelare e incapace di un confronto dialettico, avrebbe partorito, per l’autore, un vero e proprio dramma cognitivo. Il prezzo da pagare è altissimo perché la mancanza di anticorpi a questa modalità di fare cultura è assente anche in molta sinistra, in vari suoi rappresentanti à la page. Si pensi a Pasolini, per esempio, poeta indiscutibile ma anche uomo convinto di trovare il buono, il bello e il puro in un mitico passato contadino italiano.
“Insistere sulla varietà e molteplicità delle tradizioni, sulla irrimediabile varietà delle idee, sul molto rumore e sui molti disaccordi che caratterizzano la storia, sulle discordanze di cui è pieno il mondo delle idee genera in molti un invincibile senso di fastidio”.
Questo fastidio genera chiusura, ovviamente. L’unica alternativa è continuare a credere nella cultura inclusiva e non elitaria, ma soprattutto combattere qualsiasi idea monocolore. Testo potente e ricco di stimoli, Paragone degli ingegni moderni e postmoderni dovrebbe, a mio modesto avviso, essere un punto di riferimento per i tanti studenti che studiano (anche per non esserne d’accordo, perché no?) - e andrebbe utilizzato per una riforma complessiva del mondo dell’istruzione, troppo spesso ancorato a un nostalgico passato o ad autori decisamente necessari solo a loro stessi.
- Paolo Rossi