Stranamente abbandona subito abbandona il palco e si rifugia in un antro del teatro dove inizia un dialogo immaginario con il suo doppio, discutendo su chi meriterebbe davvero il prestigioso premio.
Pieno di sensi di colpa, ripercorre le tappe della sua vita che appaiono segnate soprattutto dal rapporto con le donne, a partire da sua madre, donna alquanto anaffettiva e svalutante che lo condizionò da bambino, poi ecco Samuel da giovane (Fionn O’Shea) a Parigi dove fa amicizia con James Joyce (Aidan Gillen) e inizia una relazione con la figlia Lucia (Gráinne Good). Segue poi l’incontro con Suzanne Descheveux, (Sandrine Bonnaire), che diventerà sua moglie. Arriva la guerra e Beckett partecipa alla resistenza e lo ritroviamo poi uomo maturo di successo quando incontra Barbara Bray (Maxine Peake), traduttrice e critica, con la quale inizia una relazione. E così infine la conflittualità tra le sue donne segnerà gli ultimi anni. In effetti lo stratagemma del doppio consente il dialogo con la sua coscienza tormentata dai sensi di colpa verso le donne della sua vita: sua madre da lui abbandonata, Lucia, la più fragile, la fedele Suzanne che lui ha tradito, Barbara alla quale sente di aver dato poco.
Il regista ha affermato che il suo biopic è un racconto di fantasia incentrato sulla vita emotiva dell’autore e sulle donne della sua vita, ancorato su passione e sentimento, non su noiosità di idee o sterilità della critica letteraria. Ciò concesso, ci sembra giusto evidenziare in breve il periodo storico in cui Beckett visse e scrisse le sue opere. Senz’altro fu un grande esponente del Teatro dell’Assurdo , basato sul concetto filosofico di assurdità della vita della corrente dell’Esistenzialismo. Tra i maggiori esponenti ricordiamo oltre a Samuel Beckett, Eugène Ionesco, Arthur Adamov, Harold Pinter, Robert Pinget, Boris Vian.
Samuel Beckett, nato a Dublino nel 1906, si laureò al Trnity College di Dublino. Nel 1927 fu nominato, lecteur d’anglais all’ École Normale Supérieure di Parigi, città in cui visse a lungo. Durante la II guerra mondiale fu attivamente coinvolto nella Resistenza e in seguito ad un esaurimento nervoso cominciò a scrivere come una sorta di terapia. Il suo periodo letterario più produttivo risale al dopoguerra. Autore di romanzi, racconti e poesie, oltre ad Aspettando Godot, la sua opera più nota, scrisse diverse opere teatrali, come Finale di partita, L’ultimo nastro di Krapp, Giorni felici. Vinse il Premio Nobel nel 1969. Morì a Parigi nel 1989
- Samuel Beckett
In “Aspettando Godot”, l’assurdità consiste nell’aspettare qualcuno che non arriva mai: nel primo atto due straccioni, Estragone (chiamato anche Gogo) e Vladimiro (Did), aspettano un certo Godot in campagna sotto un albero: Godot ha dato loro un appuntamento senza un orario preciso e pertanto attendono sperando che possa offrir loro un pasto e un letto per dormire. Da notare che Didi e Gogo alla fine di ciascun atto dicono "Well? Shall we go? Yes, let’s go" (Allora andiamo? Sì, andiamo), mentre appare sulla scena l’indicazione che ironicamente sottolinea "They do not move" (Non si muovono), simboleggiante la separazione tra parola e azione, fra il linguaggio e la storia da esprimere e attivare. E appare anche evidente che proprio attraverso i loro discorsi sconnessi su argomenti futili e banali emerge il nonsense della vita umana che talvolta suscita ilarità, ma indica soprattutto il vuoto esistenziale. E senz’altro dopo la seconda guerra mondiale prevalsero alienazione, angoscia e solitudine che nel teatro dell’Assurdo sono resi attraverso situazioni surreali, capovolgimento di ogni criterio di verosimiglianza e di realtà, sottolineato dal rifiuto stesso della struttura teatrale tradizionale, basata su una trama e un linguaggio razionale che vengono sostituiti da eventi senza nesso e apparentemente senza senso ,da dialoghi ora tragici ora ironici, scaturiti anche solo da uno stato d’animo o un’emozione.
Concludendo, nella nostra difficile epoca, tra crisi climatiche, pandemie e assurde guerre...anche noi stiamo aspettando un Godot che forse non arriverà mai? Speriamo che la nostra Attesa e la speranza di un futuro migliore non siano deluse.
Giovanna D’Arbitrio