Con queste parole Lauretta Colonnelli, raffinata scrittrice di saggi sull’arte, ci introduce al suo ultimo libro “La vita segreta dei colori. Storie di passione, arte, desiderio e altre sfumature”, edito da Marsilio (Venezia 2023, pp. 272, € 19). Intorno ai colori, per quanto sfuggenti, e alle loro infinite variazioni cromatiche l’autrice ha creato un intreccio di interessanti aneddoti e vicende, che si presentano come un insieme di piccole storie collegate tra loro per assonanze e corrispondenze, ma che possono essere lette anche singolarmente, lasciandosi tentare dai 39 titoli riportati nell’indice, a loro volta comprendenti più sottotitoli. La lettura è assolutamente gradevole, mai noiosa.
Per capire come è articolato il libro, prendiamo in esame il primo titolo: “Rossi e gialli, muscolari e disonesti”. Esso comprende un primo racconto, “Boccioni e la cavalla Vermiglia”, nel quale si fa riferimento al grande quadro “La città che sale” (attualmente al MoMA di New York), una tela di m 2x3 che il pittore iniziò a dipingere nell’estate del 1910 a Milano, senza sapere che vi avrebbe raffigurato qualcosa di simile alla propria morte. Nel dipinto, ispirato alla frenetica attività delle grandi città, viene parzialmente abbandonata la visione naturalistica dei suoi precedenti quadri, per lasciare il posto a un dinamismo che appare già pienamente futurista. Al centro si nota una cavalla rossastra scalciante, sulla cui groppa è una sagoma scura come un’ombra.
Quando il 24 luglio 1916 il trentatreenne Umberto Boccioni (era nato nel 1882 a Reggio Calabria) fu richiamato alle armi, venne assegnato al Reggimento artiglieri di stanza a Chievo (Verona). Lì l’artista si fece fotografare felice su una cavalla baia alla quale, memore del suo precedente dipinto, aveva dato il nome di Vermiglia. La madre, ansiosa come solitamente sono le mamme, gli aveva scritto in una lettera queste parole: “Ti lascio alla raccomandazione di non essere imprudente quando andrai a cavallo perché tu meglio di me saprai che le bestie sono capricciose”.
In effetti, anche se Vermiglia era una cavalla docile, Boccioni era un cavaliere troppo poco esperto e quando la cavalla all’improvviso il 16 agosto s’impennò e scalciò, il giovane cadde a terra battendo la testa contro i sassi e all’alba del giorno dopo morì.
Il piccolo racconto successivo, “Le purpuree giovenche di Gerione”, riprende un mito greco, legato a una delle fatiche di Ercole, ed è seguito da “Il disprezzo di Balla e Carrà per le mezze tinte”, che si riallaccia all’arte futurista. Un’arte che sprezzava “i grigi, i bruni, e tutti i colori fangosi”, come scrisse Carlo Carrà nel 1913, mentre vedeva nei rossi (anzi rooooosssssi), gialli e verdi stridenti “i colori della velocità, della gioia, della baldoria …”. Giacomo Balla a sua volta elencava nel 1914 i colori dei vestiti futuristi: “colori muscolari, violettissimi, rossissimi, turchinissimi, verdissimi, gialloni, aranciooooni, vermiglioni”.
L’autrice ci fa sapere che Balla, convinto che “si pensa e si agisce come si veste”, contribuì alla nascita della moda futurista, portata avanti anche da Fortunato Depero con la teoria del vestito trasformabile con “applicazioni meccaniche, sorprese, trucchi, sparizione d’individui”, e dal conte Vincenzo Fani Ciotti, in arte Volt, che creò il manifesto della moda femminile futurista.
Il tutto viene raccontato con un ritmo serrato, mettendo in risalto l’importanza di alcuni concetti chiave, come la luce e il movimento, in quella fortunata stagione di un gruppo di artisti, che mirava a rivoluzionare la visione dell’intero universo.
Ulteriori racconti sono “Deserto rosso”, dedicato all’omonimo film di Antonioni, “La passione delle matrone romane” (in riferimento ai colori degli abiti che la lex Oppia, una delle leggi suntuarie di età repubblicana, vietava), “La censura alle dame fiorentine” (relativa a una legge del 1343), “La piazza che diventò rossa” (la piazza di Mosca che in russo arcaico significava “bella”), e per finire “Il colore dei soldi”.
Ma le storie relative ai rossi non finiscono certo qui. Andando avanti nell’indice, troviamo tra i titoli “Cinabro per il Colosseo, verde per la speranza”, “La superbia della porpora”, “La vanità del cremisi”, “Guerre scarlatte”, “Il rosso Tiziano delle belle veneziane” e, per finire, a pag. 243, “Biacca, cinabro e giallolino” fa ancora riferimento al cinabro (solfuro di mercurio), che era usato, mescolato ad altri pigmenti, per realizzare gli incarnati da Tiziano e da Delacroix.
La stessa impressionante ricchezza di aneddoti si ritrova nei racconti relativi a tanti altri colori, tra cui l’azzurro. In “Gradazioni di ciano”, che si apre con una citazione dall’Idillio maremmano di Carducci (“Grande e profondo l’occhio azzurro aprivi! / Come ‘l ciano seren tra ‘l biondeggiante / Òr delle spighe”), la Colonnelli ci spiega che il ciano, prima di diventar noto come uno dei quattro colori a stampa, indicava il fiordaliso. Aggiunge, inoltre, che come inchiostro presenta diverse gradazioni: verde pino, verde Veronese, foglia di tè, ceruleo, blu Bondi, uovo di pettirosso, turchese, acquamarina e altre ancora.
In “Starry, starry night” ci parla invece del lapislazzuli, la costosissima pietra afgana, che veniva macinata dai pittori rinascimentali per dipingere i cieli e i manti della Madonna, come pure delle stelle di Van Gogh nei dipinti “Esterno di caffè, di notte” (1888-1889), “La notte stellata” (1889) e “Notte stellata sul Rodano”, pure del 1889. Il cantante americano Don Mc Lean nel 1973 si ispirò proprio alla celebre Notte stellata di Van Gogh nel suo brano “Vincent”.
Il nostro Domenico Modugno, invece, si ispirò a un dipinto di Chagall per la sua canzone “Volare”, come si legge nel racconto “Nel blu dipinto di blu”.
I racconti affascinanti di Lauretta Colonnelli coinvolgono ogni campo del sapere, dalla storia all’arte, dalla matematica alla musica. Del resto, che cosa sarebbe la nostra vita senza i colori? Essi esprimono più delle parole i nostri stati d’animo, ispirano film e romanzi, partiture musicali, dettano mode e gusti estetici, periodi artistici, come pure l’appartenenza a un gruppo.
Molte delle conoscenze dell’autrice sui colori sono dovute, come viene rivelato nell’introduzione, al suo rapporto privilegiato con i restauratori, visto che ha avuto la fortuna, in quanto giornalista culturale, di poter accedere a memorabili cantieri di restauro, tra cui quello della Cappella Sistina a Roma, quando Gianluigi Colalucci e la sua squadra “disseppellivano i cangianti di Michelangelo nascosti per secoli sotto una crosta di grasso, fumo e polvere”. A Firenze, all’Opificio delle pietre dure, ha potuto vedere come l’ariosa figura di Zefiro, nella “Primavera” di Botticelli, ha ritrovato il suo corpo azzurro, nascosto sotto la patina di verde marcio dovuta al tempo, grazie alle sapienti mani di Umberto Baldini e dei suoi collaboratori.
Ha scoperto poi nelle pagine scritte da artisti, letterati, filosofi, musicisti e scienziati gli infiniti rapporti degli esseri umani con i colori, e la loro appassionante vita segreta, traendo spunto da mille personaggi, quali Balthus, Kandinskij, Picasso, Malevič, Matisse, Debussy, Sibelius, solo per citarne alcuni e, andando a ritroso, Melville, Leonardo, Federico Barbarossa, Nerone e perfino Omero.
Un pensiero giunge a questo punto spontaneo. Che tristezza pensare a chi i colori non riesce a vederli, non tanto per chi è afflitto dalla cecità ai colori già alla nascita (pensiamo in particolare al daltonismo, che può riguardare uno o più colori, fino a una rarissima visione in bianco e nero), che non sa cosa si perde (come avviene nel racconto “Il paese dei ciechi” di H. G. Wells), ma per chi diventa cieco da adulto! Riguardo al daltonismo, chi soffre di più è certamente la madre che inconsapevolmente ha trasmesso l’anomalia a un figlio maschio, dal momento che si tratta di una tara ereditaria legata a un gene anomalo recessivo del cromosoma sessuale X. Poiché nelle donne il cromosoma X è doppio, anche i geni sono doppi e pertanto il gene normale prevale su quello anomalo, mentre negli uomini l’X è singolo e accoppiato al cromosoma Y, ragion per cui il gene recessivo, se è presente, si manifesta.
I colori con la loro forza visionaria ed evocativa sono talmente importanti da aver dato origine a teorie psicologiche e scientifiche, da aver provocato odio e amore e c’è stato pure chi ne è stato talmente attratto da giungere a ingoiare i pigmenti amati, basandosi su credenze superstiziose.
Tutte le storie sono narrate dalla Colonnelli con i toni incalzanti del romanzo e la perizia di un saggio e, proprio come un saggio, il volume presenta un’ampia e articolata bibliografia e un utilissimo indice dei nomi.
- Lauretta Colonnelli
Lauretta Colonnelli è nata a Pitigliano (Grosseto) e vive tra Roma e la Toscana. Laureata in Filosofia, ha insegnato Storia del teatro alla Sapienza di Roma e ha lavorato come programmista-regista a Rai Radio 2. Giornalista dal 1979, prima alle pagine culturali dell’«Europeo», poi al «Corriere della Sera», è autrice di diversi saggi. Tra i suoi volumi più recenti si ricordano: “Cinquanta quadri. I dipinti che tutti conoscono. Davvero?” (2016); “Le muse nascoste. Protagoniste dimenticate di grandi opere d’arte” (2020), “Storie meridiane. Miti, leggende e favole per raccontare l’arte” (2021).