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RIETI CITTA’ DELLE ACQUE

Un ampio volume dal taglio scientifico pluridisciplinare, a cura di Carlo Virili
giovedì 20 ottobre 2022 di Nica Fiori

Argomenti: Natura


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Rieti, una delle città più antiche della Sabina, è nota per essere situata nell’esatto centro della penisola italiana (quello che Varrone chiamò “Umbilicus Italiae”), in una piana il cui elemento principale è sempre stato l’acqua. Traendo spunto da questa presenza, che è la sua risorsa più importante, il volume “RIETI CITTA’ DELLE ACQUE. Studi e ricerche di geologia, archeologia e storia dell’agro Reatino”, a cura di Carlo Virili, in collaborazione con Vincenzo Silvi, raccoglie i contributi di 22 studiosi, per un totale di 16 saggi.

Realizzato dal Lions Club Rieti Host (Teseo editore, Roma 2022), il volume, di oltre 500 pagine e numerose illustrazioni, si caratterizza per l’ampiezza delle tematiche relative al dominio delle acque nel territorio reatino, non solo riguardo all’ambiente, all’archeologia e alla storia, ma anche alla gestione delle risorse idriche e al loro rapporto con le realtà interconnesse, come quella della vicina Terni, la città umbra che ha sfruttato a partire dal XIX secolo le acque per i suoi impianti industriali. Alcuni dei contributi del libro sono stati presentati nell’omonimo convegno tenutosi a Rieti nel 2015, mentre altri sono stati aggiunti per un ulteriore approfondimento sull’argomento. Il taglio è ovviamente scientifico, ma di scorrevole lettura per tutti e si presume possa diventare un importante punto di riferimento per chiunque voglia occuparsi del territorio.

La definizione di “Città delle acque” è dovuta al fiume Velino, alle innumerevoli sorgenti presenti nelle vicinanze e alla rete di canali artificiali che attraversavano Rieti (e che ora sono sotterranei), caratterizzando il suo paesaggio urbano, tanto da esser stata definita colloquialmente la “Venezia” del Centro-Italia.

Per spiegare diversi millenni di storia economica e sociale del suo territorio si è partiti da una necessaria premessa sulla geodinamica che ha portato nell’arco di centinaia di milioni di anni al paesaggio attuale, come evidenziato nel contributo di Fabrizio Millesimi “Evoluzione geologica della Piana di Rieti”. La Piana Reatina, situata nel tratto sabino dell’Appennino centrale, si presenta attualmente come un’ampia depressione di circa 90 km2, che nel passato è stata più o meno completamente ricoperta di acqua, sotto forma di un lago (il cosiddetto “lacus Velinus”) o di un’estesa palude, a seconda del suo livello. L’eccesso di acqua trovava sbocco sul lato nord nel fiume Nera in corrispondenza del salto delle Marmore e si riversava a valle nella Piana Ternana, giocando un ruolo determinante nella creazione dell’ecosistema locale.

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La cascata di Terni J.B. Corot

Le indagini geologiche effettuate ci consentono di ricostruire la situazione a partire dall’inizio del Quaternario (circa un milione e mezzo di anni fa), quando i fiumi Velino e Nera (affluente di sinistra del Tevere) scorrevano allo stesso livello. L’intensificarsi dell’attività vulcanica nella zona ha portato all’immissione graduale di forti quantitativi di carbonato di calcio nelle acque del bacino del Velino. Nello stesso tempo il Nera accentuava l’erosione del suo letto, portandosi a un livello sempre più basso rispetto a quello del suo affluente.

L’evoluzione tardo-quaternaria del bacino di Rieti e la formazione del lacus Velinus sono il tema del secondo contributo, firmato da Fabio Brunamonte, Alessandro Maria Michetti, Luca Guerrieri, Leonello Serva.

In età protostorica (1200-1000 a.C.) la piana si presentava come un ambiente lacustre, che favoriva il posizionamento degli insediamenti umani a quote più basse dando origine a un sistema di abitati di tipo perilacustre, articolato in piccoli villaggi vicini tra loro, dei quali il più importante dal punto di vista archeologico è ritenuto oggi quello individuato in località Paduli nel comune di Colli sul Velino (RI), trattato nel volume da Carlo Virili, che ha scavato il sito per conto della Sapienza – Università di Roma.

L’abbondante disponibilità di acqua e l’economia che ne derivava garantivano ampie possibilità di sussistenza alle comunità protostoriche locali, che decaddero quasi improvvisamente e simultaneamente nella prima età del Ferro (seconda metà del IX secolo a.C.), a causa forse di fattori climatici che dovettero modificare l’ambiente (innalzamento della linea di riva dei laghi e conseguente impaludamento dei terreni agricoli), e di fattori socio-politici tesi a stravolgere i vecchi assetti delle comunità.

Si andava formando, infatti, una società stabilmente differenziata e ormai dominata da un’élite guerriera, capace di sviluppare le produzioni artigianali dal punto di vista sia quantitativo, sia qualitativo, incrementando il volume degli scambi a lunga distanza con l’Europa centrale e settentrionale e con il Mediterraneo orientale, dove i popoli della Grecia uscivano allora dal c.d. Medioevo ellenico; questi nuovi fermenti si inquadrano in una cornice insediativa che vedeva l’aumento del numero dei villaggi, divenuti via via più stabili, più vasti e più densamente popolati.

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Manufatti trovati a Paduli

Con la fine dei villaggi perilacustri la frequentazione dell’uomo si spostò nuovamente sulle alture circostanti, che garantivano da un lato una vita più salubre e dall’altro, data l’abbondanza di acqua nella piana, il controllo delle vie di comunicazione fluviali. Non abbiamo fonti su questo periodo, però recenti rinvenimenti archeologici pertinenti a una necropoli del VII secolo a.C. in località Colle Restano, sempre nel territorio di Colli sul Velino, confermano l’avvenuto spostamento della vita sulle alture e il conseguente spopolamento della piana.

All’inizio del III secolo a.C. assistiamo a un cambiamento epocale. Le vittoriose campagne di Manio Curio Dentato, che nell’anno del suo primo consolato nel 290 a.C. aveva sconfitto sia i Sanniti che i Sabini, portarono la piana nella sfera di influenza di Roma. Dopo la conquista romana il territorio dovette avere una sistemazione amministrativa compatibile con la nuova situazione politica e in questo quadro si ritiene sia stato dato corso a un progetto di bonifica dell’area attorno a Rieti, per contenere i frequenti straripamenti del Velino dovuti alla mancanza di una via di sfogo idonea a smaltire l’eccesso di acqua.

Fulcro dei lavori di bonifica fu la costruzione del Cavo Curiano, ordinata nel 271 a.C.; si trattava dell’apertura di un canale artificiale che permetteva alle acque stagnanti raccoltesi nella Piana di Rieti di confluire direttamente nel Nera, creando il salto della Cascata delle Marmore.
La creazione di questa via di sfogo consentì di prosciugare la piana, anche se non completamente, in quanto nelle zone più depresse rimasero (e rimangono tuttora) dei piccoli bacini: Piediluco, Fogliano, Ventina, Lungo e Ripasottile.

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Il lago lungo. Piana di Rieti

L’Agro Reatino ritornò ancora una volta a essere abitabile e consentì la ripresa economica, basata sull’agricoltura e sull’allevamento, come quello degli ovini legato alla pastorizia transumante, la cui tradizione doveva risalire all’epoca preromana, e quello dei cavalli, in particolare quelli “roseani” descritti da Varrone, dei muli e degli asini, considerati al tempo come i migliori dell’Impero.

Oltre alle “villae rusticae” che si diffusero nell’area, dove i senatori romani sfruttavano la fertilità della terra che era coltivata da schiavi, non si può non ricordare la “Villa dei Flavi” a Cutilia, una località celebre per le acque termali. Non dimentichiamo che Vespasiano, il primo degli imperatori Flavi, era nato nei pressi di Rieti e che morì proprio nella villa di sua proprietà (dove morì anche Tito). Lo studioso Simone Nardelli nel suo contributo avvicina l’architettura della villa a quella del Septizodium romano di epoca severiana, ma ovviamente la sua è solo un’ipotesi ricostruttiva.

Nella tarda antichità e nell’alto Medioevo la città di Rieti assume un ruolo di notevole importanza nell’Italia centrale, mantenendo un’economia basata sull’allevamento e sulla coltivazione intensiva della piana, finché con i Longobardi ci fu una mutazione del sistema economico, che causò il lento ma inesorabile impaludamento, tanto che l’unico sistema di collegamento tra Rieti e Terni era la barca.

Nel periodo rinascimentale la valle reatina su iniziativa dei pontefici è stata oggetto di bonifiche. Ricordiamo tra gli ingegneri-architetti anche Antonio da Sangallo, Carlo Maderno e Giovanni Fontana. Alla fine del Settecento l’agro reatino era in parte bonificato e il paesaggio, caratterizzato da ampie strutture agrarie, era sostanzialmente simile a quello attuale. Come scrive Carlo Virili nell’introduzione, “La piana divenne terra di conquista da parte dell’aristocrazia agraria (le nobili famiglie dei Vecchiarelli, Potenziani, Vincentini ecc.) che sulla messa a coltura delle antiche paludi costruitono la propria fortuna economica”.

L’affascinante storia del paesaggio Velino non può non prendere in considerazione la cascata artificiale delle Marmore, trattata nel contributo di Miro Virili intitolato “L’Opera della Cascata”. Alta m 165 su tre salti successivi, il primo dei quali è di m 120, la cascata si forma alla confluenza del fiume Velino nel Nera. Giustamente viene vista non solo come bene paesaggistico o naturale, che riguarda sia Rieti sia Terni, ma anche come Bene culturale dell’Europa, meta dei viaggiatori del Grand Tour e perciò riprodotta in innumerevoli disegni e dipinti.

Quello della portata d’acqua è l’elemento che maggiormente caratterizza la storia del fiume Velino. Nell’Ottocento con la rivoluzione industriale Terni riesce a sfruttare questa risorsa idrica per i suoi impianti siderurgici, elettrici e chimici, mentre nell’area reatina prende piede il progetto della definitiva soluzione al problema della bonifica. Il secolo successivo con la fondazione della provincia di Rieti (1927) e l’istituzione del Consorzio di Bonifica (1928) si arriva alla regimentazione delle acque, creando i due laghi artificiali del Salto e del Turano, canalizzando i principali corsi d’acqua della piana (come il Santa Susanna), creando sistemi di irrigazione e infine l’impianto idrovoro di Ripa sottile (inaugurato nel 1956).

Gli argomenti trattati nel testo, “talvolta ben noti, ma non esauriti, e anzi tutti ancora meritevoli di ulteriori approfondimenti” come scrive Alessandro Maria Jaia, docente della Sapienza Università di Roma, nella sua presentazione, “rivelano da una parte l’approccio metodologico integrato che caratterizza l’attività del curatore, dall’altra la profondità temporale e storica della tematica affrontata, per come emerge anche semplicemente scorrendo l’indice del volume”.

Francesca Licordari, funzionario archeologo della Soprintendenza Archeologia, Belle Arti e Paesaggio per l’area metropolitana di Roma e per la provincia di Rieti, da parte sua ha evidenziato che il volume “rispecchia il concetto della multidisciplinarità che si è fatto avanti nel mondo culturale degli ultimi anni, anche in seguito alle nuove riforme delle Istituzioni del Ministero della Cultura”. Ha quindi auspicato che è proprio dall’acqua, che nel passato ha costretto l’uomo a convivere con le alluvioni e un territorio in apparenza ostile, ma che allo stesso tempo è una risorsa fondamentale per lo sviluppo dell’economia, “bisognerà partire per rilanciare un territorio ancora incontaminato che finora ha sfruttato troppo poco le risorse a disposizione”.