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UN MUCCHIETTO DI PELI (una scheggia di luce),Ciolfi editore

Le tre micie di Antonio Mazza

Un racconto d’amore elegiaco in memoria di tre dolci gattine che hanno segnato profondamente la vita dell’Autore
lunedì 1 maggio 2017 di Nica Fiori

Argomenti: Recensioni Libri
Argomenti: Antonio Mazza


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I gatti sono indubbiamente degli animali dal fascino magnetico, che hanno colpito la fantasia di numerosi artisti e scrittori. I gatti di Roma, in particolare, sono stati più volte immortalati in dipinti e in calendari di successo per il loro aspetto maestoso e distaccato, a volte tra i ruderi imperiali, altre volte tra le immondizie della città eterna, liberi “cittadini” simbolo di un modo di vivere tipicamente romano. E così, in effetti, li considerava Antonio Mazza, un giornalista sensibile esperto d’arte e di musica (attualmente direttore di News arte e cultura) , finché non ha avuto un rapporto di dedizione totale con tre micie, che ha allevato e amato fino alla fine. Non è stato un colpo di fulmine il suo, ma un sentimento che è cresciuto nel tempo e che ora, a distanza di anni, rievoca con uno stile brillante nel suo libro “Un mucchietto di peli”, il cui sottotitolo “(una scheggia di luce)” sembra alludere ad un’illuminazione interiore.

Il racconto, edito da Ciolfi, è gradevolissimo da leggere ed è talmente approfondito nella descrizione dei comportamenti delle bestiole da diventare quasi un testo di psicologia felina. Le micie protagoniste hanno segnato profondamente la vita dell’Autore, che, grazie ad esse, ha scoperto una dimensione “altra” della realtà spesso disumana che viviamo ogni giorno: “una dimensione di tenerezza e rispetto reciproco, nel segno di un assoluto che non esiste tra gli esseri umani”.

Tutto è cominciato nel 1993, quando nella via dove abita Mazza, non lontano da piazza Bologna, un gruppetto di gatti randagi veniva nutrito dagli abitanti dei luogo. Ed “era bello trovarsi in mezzo a quei mici che ronfavano di soddisfazione e alzavano la testina per farsi carezzare”, ma niente di più, finché una gatta incinta non si rifugia nel terrazzo condominiale, per partorire al sicuro, e allora il nostro Antonio si prende cura con discrezione della micia, portandole cibo, acqua e una cassetta di sabbia. Ed ecco che a Pasqua ha la sorpresa di trovare quattro cosini pelosi tra le sue zampe e a quel punto si instaura un rapporto più coinvolgente con la famigliola. I quattro esserini sono tutti femmine, perché la madre è una gatta calico, ovvero un tipo di soriano tricolore (una forma di mosaicismo) che non partorisce maschi (particolare questo che non conoscevo e che mi ha stimolato a cercare di saperne di più su questo mistero genetico).

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Antonio Mazza

Le “bamboline” ben presto crescono ed escono dalla cassetta-nido approntata dall’autore, esplorando lo spazio un tempo adibito a lavatoio condominiale. Tutte vengono chiamate con nomi femminili, Patrizia, Isabella, Licia I e Licia II, per il loro comportamento amoroso e civettuolo, mentre la mamma, che mantiene sempre un certo distacco da nobile decaduta, è diventata la De Felinis. I mesi passano e bisogna trovare una sistemazione. La madre viene portata fuori Roma (atto del quale Antonio Mazza si pente ancor oggi), ritornando ad “essere randagia ma con possibilità di sopravvivere”, mentre le piccole si trasferiscono nell’appartamento di Mazza e ben presto Licia II viene ceduta ad altri. Le gattine vengono accudite con attenzione e ricambiano con moine e coccole, ma il coinvolgimento dell’Autore ancora non è totale, tant’è che d’estate, volendo passare le vacanze con la sua compagna in Francia, le carica sul suo camper e le porta in un gattile, sperando in un’adozione.

Al ritorno dal viaggio, dopo un mese, ritorna giusto per curiosità al gattile, “convinto che le micette neanche ci avrebbero riconosciuti, prigioniero di quello stupido luogo comune che vuole i gatti infidi, opportunisti, eccetera, eccetera”. Ma non è così, Patrizia gli salta al collo e comincia a mordicchiargli l’orecchio ronfando di gioia perché è tornato. A quel punto, folgorato d’amore, le afferra tutte e tre e se le riporta a casa.

Da quel momento la presenza delle tre protagoniste feline permea ogni cosa in casa, riverberandosi positivamente sulla coppia umana che vi abita. Ed è un convulso susseguirsi di episodi anche esilaranti, come quando c’è un equivoco sulla Isabella di cui Mazza parla ai colleghi, che pensano si tratti della compagna. La timida Patrizia è la preferita, perché è stata la prima ad essere scelta (e quindi ha avuto l’imprinting), Licia è caciarona ed estroversa, mentre Isabella, così chiamata per il pelo rosso che ricorda la capigliatura della compagna di Mazza, è la più tranquilla e miciona. Ci sono anche episodi drammatici, presunte fughe e voli dal quarto piano, le visite dal veterinario e il ritorno di calore di una micia, che pure era stata sterilizzata: tutto questo vissuto con intensità e sentimento vero da entrambi i punti di vista, umano e felino. Ma tutto ha un termine e, poiché la vita dei mici è molto più breve di quella umana, all’Autore ora non resta che il rimpianto per quell’esperienza davvero unica.

A questo che è il racconto principale, si aggiungono alcune “storie di mezzo”, riguardanti altri gatti, e una di queste, intitolata “Pippo”, è stata premiata ad un concorso indetto dagli Animalisti Italiani. Era un gatto nero Pippo che, imbarcato su un peschereccio, faceva compagnia all’equipaggio, nonostante all’inizio fosse malvisto dal superstizioso capo barca, che lo riteneva portatore di sventura. In seguito ad un’onda anomala, Pippo finisce in mare e, pur essendo stato ritrovato e issato a bordo, muore per una brutta polmonite lasciando un vuoto tra i pescatori, persone semplici ma ricche di sentimenti.

 

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