Quando pensiamo ai mosaici di Roma, il pensiero corre subito alle absidi di splendide chiese paleocristiane e medioevali, decorate con scintillanti tessere colorate. È indubbio che la tecnica del mosaico, oggi poco esercitata, era concepita per durare nel tempo grazie alle sue tessere in materiale inerte (pietra, marmo, pasta vitrea) e quindi si prestava bene per dispensare le immagini di luce e di sapienza dell’arte sacra, ovvero di quello straordinario patrimonio dello spirito che rende visibile l’invisibile. Ma quell’arte, senza la tradizione del mosaico romano, e prima ancora ellenistico-romano, non ci sarebbe stata.
Un’interessante ed esaustiva indagine sull’arte musiva romana è quella condotta da Stefania Severi nel libro “I mosaici a Roma dall’antichità al Medioevo”, uscito nella collana Studi e documenti di Edilazio. L’autrice, storica e critica d’arte, ha al suo attivo numerose importanti pubblicazioni (alcune vincitrici di premi nazionali) e ha curato oltre 50 mostre in spazi pubblici in Italia e all’estero. Da vera esperta ci conduce alla scoperta dei mosaici della città eterna, museo dopo museo e chiesa dopo chiesa, mettendo a fuoco tutti i motivi iconografici e i cambiamenti stilistici che si sono succeduti nel tempo.
L’excursus storico-critico parte dall’antichità, e più precisamente dai primi mosaici a tessere, databili al III secolo a.C., che avevano essenzialmente funzioni pratiche. Li troviamo, infatti, nei pavimenti ad andamento geometrico in opus signinum, a calce e cocciopesto, ovvero frammenti di cotto con funzione impermeabilizzante. In seguito si diffuse la pavimentazione ad opus sectile, realizzata con marmi colorati tagliati a sezioni geometriche, come per esempio quello della Curia nel Foro romano, ma questa non rientra propriamente nella tecnica del mosaico. Con l’espandersi di Roma verso la Grecia e l’Egitto, si diffondono motivi iconografici d’importazione, come quello delle colombe che si abbeverano (un esemplare da Villa Adriana è conservato nei Musei Capitolini) o il vivacissimo paesaggio nilotico del Santuario della Fortuna Primigenia nel Museo di Palestrina.
- Mosaico opus signinum
Mentre in Oriente i mosaici erano quasi sempre policromi, a Roma prevalse l’uso del bianco/nero. Nel periodo repubblicano i pavimenti in mosaico delle domus prevedevano riquadri geometrici e un emblema centrale, che talvolta era a colori. A partire dal I secolo a.C. si diffuse anche il mosaico parietale, inizialmente concepito per decorare ninfei. In questo caso le tessere potevano anche essere più rustiche, ovvero sassolini, pietre e conchiglie.
Dal I secolo d.C. i mosaici vennero sempre più utilizzati negli ambienti pubblici e privati e comparve la decorazione figurata su tutto il pavimento. Il tema trattato era in relazione all’ambiente. Se nelle palestre erano gli atleti ad essere raffigurati, a volte con i nomi propri, negli ambienti termali i soggetti erano per lo più marini, come pure nei ninfei. Nelle abitazioni la decorazione era abbastanza varia, con frequenti soggetti dionisiaci nei triclini e scene erotiche nelle camere da letto. Un discorso a sé meriterebbero i quadri a tessere musive, che erano inseriti nelle decorazioni parietali a pittura. L’autrice precisa che “Per questi tipi di mosaico, di cui offrono esempio le bellissime maschere teatrali dei Musei Capitolini, venivano utilizzate tessere piccolissime che producevano un effetto eminentemente pittorico”.
- Mosaico di Palazzo Valentini
Nei pavimenti, comunque, perdurò l’uso del bianco e nero, dalla Domus Aurea neroniana alle soprastanti Terme di Traiano, alla caserma della VII Coorte dei Vigili del fuoco a molti altri esempi. Sono invece policromi gli splendidi pavimenti delle domus sotto Palazzo Valentini, di età compresa tra il II e il IV secolo. I motivi sono geometrici, ma di fattura assai complessa, e realizzati con marmi pregiati d’importazione.
Molti mosaici romani sono stati asportati nel passato e inseriti nei pavimenti di dimore storiche, come nel caso del salone a piano terra del Casino Borghese, il cui mosaico, proveniente da Torrenova, raffigura combattimenti di gladiatori e di belve e scene di caccia. Gli esempi più cospicui, sia parietali sia pavimentali, sono stati musealizzati, mentre quelli più comuni sono rimasti in situ. Tra i musei che accolgono mosaici, ci sono i Capitolini, il Museo Nazionale Romano (in particolare Palazzo Massimo), i Musei Vaticani e l’area archeologica di Ostia Antica. Per avere un’idea del rapporto tra decorazione musiva e architettura, la visita di Ostia Antica offre innumerevoli esempi, e in particolare la visione di un’intera piazza, il cosiddetto Piazzale delle Corporazioni, le cui 61 stationes conservano i pavimenti a mosaico bianco e nero che ci informano con immagini e scritte sulle attività svolte dalle varie categorie di lavoratori portuali.
La storia continua con il capitolo “Dall’età paleocristiana al Medioevo”. In ambito cristiano il mosaico si afferma a partire dal III secolo come decorazione musiva parietale, con tessere in pasta vitrea, marmi e smalti. I primi mosaici hanno però subito notevoli traversie legate alle modifiche degli edifici: spesso sono stati eliminati, a volte rifatti, altre volte integrati pesantemente. Forte è il rimpianto per la perdita di alcuni mosaici costantiniani, ma fortunatamente si sono conservati quasi integri capolavori come la Cappella di San Zenone (IX secolo) nella basilica di Santa Prassede, il catino absidale a fondo oro di San Clemente (XII secolo) e altri ancora fino ad arrivare ai notevoli esemplari del XIII-XIV secolo realizzati da Pietro Cavallini, Jacopo Torriti e Filippo Rusuti (esponenti della Scuola Romana), le cui opere si ritrovano in importanti basiliche già ricche di mosaici più antichi, come Santa Maria Maggiore o Santa Maria in Trastevere, ma anche in monumenti e pannelli di altre chiese.
L’autrice mette in luce l’influenza dei repertori pagani su quelli cristiani, non solo nell’uso di ghirlande, girali d’acanto, amorini, ma anche nell’affermazione del motivo del clipeo (medaglione rotondo) o del nimbo tratto dall’iconografia imperiale. Se per Cristo, la Madonna, gli Angeli e i Santi, il nimbo è rotondo, per le persone in vita è quadrato, come si vede nell’immagine di copertina raffigurante un particolare del catino absidale della basilica di Santa Cecilia.
Il personaggio raffigurato con il nimbo quadrato è papa Pasquale I (817-824), con in mano il modellino della chiesa. Una raffigurazione simile la troviamo anche nell’abside di Santa Prassede, mentre in Santa Maria in Domnica il pontefice è inginocchiato a toccare il piede della Madonna. E qui un pensiero mi viene spontaneo: se questo papa, per quanto santo, non avesse fatto realizzare questi splendidi mosaici, nessuno forse si ricorderebbe di lui, mentre grazie all’opera d’arte ha sigillato davanti al mondo intero il suo operato.
- Particolare mosaico di Santa Cecilia
Indubbiamente i mosaicisti cristiani ci hanno regalato delle immagini di Cristo, della Madonna e dei Santi che fanno parte della nostra tradizione, tanto che noi non potremmo immaginarli in modo diverso, eppure essi li hanno realizzati senza averli mai visti e reinterpretando semmai in chiave cristiana immagini più antiche. Non si può non pensare alla ritrattistica romana guardando il Cristo in trono tra gli Apostoli nel mosaico (V secolo) del catino absidale di Santa Pudenziana, come pure la figura del Cristo, con la toga e il rotolo in mano, che discende dal cielo sulla terra nello splendido mosaico absidale della basilica dei Santi Cosma e Damiano (VI secolo).
Il volume (180 pagine, 13 €) si può consultare come una guida, essendo un agile manuale suddiviso, dopo la parte storico-critica iniziale, in due fondamentali sezioni, antichità e Medioevo, impostate sull’ordine alfabetico dei luoghi nei quali si possono ammirare i mosaici. Le illustrazioni in bianco e nero, la bibliografia e l’utilissimo indice dei nomi e dei luoghi completano il lavoro.