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Rubrica: CULTURA


Io ideale e ideale dell’io


domenica 9 aprile 2006 di Andrea Forte, Vivi Lombroso

Argomenti: Sociologia


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Può intendersi per Io ideale l’obiettivo cui verte l’intento umano di ripristinare la condizione ideale di onnipotenza narcisistica (che comincia a crollare con le prime esperienze di frustrazione). Trattasi miticamente di nostalgia delle origini, del paradiso perduto, dell’epoca aurea, della situazione prima della cosiddetta “caduta” (leggibile anche come peccato e come parto). Prescindendo dai livelli di consapevolezza, trasferimenti etc., trattasi comunque di “istanza unificata”, di un modello interno cui ricondurre tutto l’esterno. In tale senso avrebbe per così dire un andamento teoricamente centripeto.

Basta fermarsi un attimo per recuperare immediatamente in noi quella certa sensazione primordiale che percepiamo come ottimale; basta fermarsi un attimo per ricordare quante volte questo desiderio è sorto e risorto in noi; basta fermarsi un attimo per vedere quanto questi termini ci condizionano quotidianamente a livello di piccole e grandi scelte: quanti sono gli oggetti che compriamo perché in qualche modo ci riportano per esempio ad un’arte primitiva e quindi ad una presunta dimensione di purezza perduta; quanto questa nostalgia ci condiziona nelle scelte del cibo “naturale” e in altre (la casa che scegliamo perché c’è più verde, il terreno che compriamo per farci l’orto come nel buon tempo antico, le vacanze in un certo modo per respirare l’aria buona etc). Tutti richiami da un passato ritenuto ideale -che fra l’altro - ... non ha vissuto nessuno, e che per di più ... non ci sono prove che ci sia veramente stato - che tuttavia continuano a funzionare (... quando incontriamo un compagno e vogliamo recuperare l’amore primordiale... l’alba del mondo, etc.). Tutti richiami che ci condizionano sia fra le scelte quotidiane che fra quelle di fondo; tutte quelle situazioni nell’ambito delle quali possiamo riconoscere questi tiraggi da parte di una situazione valutata come paradisiaca, sono talmente tante che volendo non è difficile recuperarle.

Forse gioverebbe intanto coscienzializzare questi richiami, intanto vedere fino a che punto sono realizzabili in concreto e non solo a livello di “vite mancate”. “Non posso fare questo, non posso fare quello !”. Vita mancata, e vivo tutto in funzione di una vita mancata, che poi potrebbe essere oggettivamente non realizzabile. Se devo andare a Milano e ci posso andare col treno o con l’aereo, e mio malgrado ci vado col treno perché non posso prendere l’aereo - ma in realtà l’aereo c’è - allora è un discorso: il mio rammarico è giustificato. Ma che pensereste di quello che prendendo il treno si rammarica di non avere contatti con gli extraterrestri per cui non ha potuto prendere il disco-volante ? Se io ho investito male i miei soldi, mi posso rammaricare di non avere una rendita maggiore perché in effetti era possibile investirli meglio, mi rammarico giustificatamente; ma se mi rammarico per il fatto che non posso comprare un pezzo di terra e non posso tenerci un contadino “perfetto” tipo quelli dell’età aurea... allora la cosa può diventare discutibile perché bisogna chiedersi se è effettivamente possibile una situazione del genere. È possibile che io mi trasferisca sulla montagna del Tibet e viva di radici ? Mi sto a rammaricare di qualcosa che non posso avere ? Abbiamo la nostalgia di uno stato edenico originario nel quale tutte le meraviglie si verificano.

Domanda: “E’ giustificato questo rammarico o mi sto rammaricando di qualcosa che non esiste ?”. Perché forse l’uomo primitivo era più pulito per certe cose e decisamente più sporco per certe altre. Oggi perseguitiamo il fumatore di 30 sigarette al giorno e non ci rendiamo conto che fino a pochi decenni orsono una persona fumava l’equivalente di 3.000 per sera sigarette usando i lumi a petrolio, i caminetti ed i bracieri. Con questo non vogliamo dire che fumare è giusto, stiamo solo dicendo che oggettivamente non è sempre così scontato che le situazioni passate fossero belle, buone, giuste. Quando avvertiamo questa nostalgia della situazione perfetta, in cui tutto è stupendo, questa nostalgia è per una situazione di fatto, per lo meno esistita, o per qualcosa che nemmeno è esistita ed è solo il richiamo di un qualcosa che resta da recuperare e che noi copriamo con l’alibi del paradiso perduto ? L’alibi del paradiso perduto copre forse la non volontà di realizzare il nostro paradiso, quello normale e a norma di noi stessi ? Gli psicologi moderni hanno messo a fuoco questa nostalgia delle origini, questo sentore di “creatura caduta nel peccato” e che essa si prospetta come una identità non ancora organizzata (l’io non ancora organizzato). Cioè proveremmo nostalgia di un io che, non essendo ancora strutturato in quanto non ancora entrato in contatto con la realtà storica, non ha quindi ricevuto delle frustrazioni da questo contatto. Forse il paradiso perduto è la situazione intrauterina, innocenza del feto etc.

Può intendersi per ideale dell’io l’obiettivo cui verte l’istanza delle personalità umana a divenire “perfetta” coincidendo con gli ideali esterni (genitori, collettività, giustizia, Stato, azienda, scuola, setta, eroe etc). Detta istanza è permeata di angoscia soteriologica (cioè angoscia di salvezza), che può formalmente estrinsecarsi in attesa del Messia, ricerca del Maestro, a seconda dei casi. Il meccanismo che va sotto il nome di ideale dell’io consiste nell’esigenza che un individuo prova a perfezionarsi sino a diventare perfetto. “Sono una buona madre !”, “cerco di essere una buona madre, un buon cittadino, un esoterista sincero ! etc”, cosa è ? La tendenza a perfezionarci, a crescere, protesa verso modelli esterni. Questa tendenza a crescere etc, è tesa verso un qualcosa che c’è, che è attendibile, realizzabile ? Basterebbe fare un manuale della madre perfetta e accorgerci che: 1°, il manuale comincia ad entrare in conflitto con se stesso, 2°, che nella misura in cui procediamo nella compilazione del manuale “sacrosanto”, ci accorgiamo che si può andare avanti ad libitum, e più andiamo avanti e più esso diventa irrealizzabile.

Allora, da una parte c’è un richiamo ad una situazione preesistente che però non è più verificabile; dall’altra soggiaciamo ad una situazione da realizzare in futuro, che però è irrealizzabile. Domanda: alla fine della giornata come abbiamo vissuto: secondo noi stessi o non piuttosto secondo due tendenze legate a qualcosa che non esiste, l’una perché non è ripetibile, l’altra perché non è concretizzabile ? Compio delle azioni perché il meccanismo mi costringe a compierle, non perché in qualche modo io voglio o so compiere quell’azione?