È innegabile che il fascino di un territorio non sia legato soltanto alla bellezza del paesaggio o dei suoi monumenti, ma anche ad una serie di beni immateriali, come storie, leggende e riti relativi alla sua componente umana, che vanno in qualche modo preservati e fatti conoscere ai giovani. Per questo la Soprintendenza per i Beni storici, artistici ed etnoantropologici del Lazio sta portando avanti una collana dedicata ai “Luoghi sacri del Lazio”, della quale è stato presentato il secondo volume, curato da Milvia D’Amadio ed Elisabetta Silvestrini, con prefazione della Soprintendente Anna Imponente. La sua copertina mostra, non a caso, l’immagine di un brigante, come a voler rimarcare quegli aspetti antropologici che hanno caratterizzato nel passato il parco regionale dei Monti Lucretili, e in particolare il comune di Licenza e la frazione di Civitella di Licenza, oggetto di studio del volume. Il titolo completo è “Confini, toponimi, luoghi stregati. Leggende, aneddoti, memoria storica a Licenza e Civitella di Licenza”.
Il libro esce dopo un decennale lavoro di documentazione iniziato sotto la direzione dell’allora Soprintendente Costantino Centroni e raccoglie i risultati di un’ampia ricerca condotta sul campo. Sono state rilevate leggende, narrazioni, storie di guerra, storie di fantasmi, tutte di tradizione orale e legate a siti sparsi nel territorio. Ricordiamo a questo proposito che Licenza, il cui nome deriva dall’omonimo fiume (affluente dell’Aniene), si erge al centro di una stretta vallata che il grande poeta romano Orazio Flacco chiamò Valle Ustica.
In questo ameno luogo, che dista 55 km da Roma e si raggiunge percorrendo la via Tiburtina verso Vicovaro, Mecenate fece costruire una villa che donò nel 33 a.C. al suo amico Orazio, perché potesse godere in tutta tranquillità dell’otium, ovvero di tutte quelle attività fisiche e intellettuali che caratterizzavano la vita di campagna, in contrapposizione al negotium della vita cittadina. A Licenza sono soprattutto i ruderi di questa villa romana, situata a due chilometri dall’abitato, ad attrarre i turisti, ma non va dimenticato il borgo medievale con il Castello Orsini, la Chiesa Vecchia e il cosiddetto Obelisco, recentemente restaurati.
Sono proprio questi luoghi, insieme ai monti circostanti, alle strade di campagna e al cimitero a essere trattati nelle narrazioni, che si riferiscono a numerosi e vari argomenti, come le “corse per il confine”, le storie di briganti e di tesori nascosti, le “storie di paura” (incontri con i morti, fantasmi, streghe e lupi mannari), il mito dell’“Uomo selvatico”, i tunnel sotterranei, gli episodi di guerra, gli aneddoti. I temi delle narrazioni sono stati analizzati e messi a confronto con argomenti analoghi, coevi e vicini per territorio o, in altri casi, più lontani dal punto di vista geografico e cronologico.
Prendiamo per esempio il caso dell’Uomo selvatico, che vivrebbe in una grotta in località Campanili. È un racconto fantastico che si riallaccia ad altri analoghi del Lazio e soprattutto della zona alpina, dove è raffigurato pure in un affresco quattrocentesco in Valtellina, ma lo troviamo anche in paesi stranieri. Nascosto nei boschi o nelle grotte, ai margini della civiltà, quest’uomo dall’aspetto un po’ ferino (è tutto ricoperto di peli o è vestito di foglie) è un personaggio ambiguo, che può essere visto sia come eroe civilizzatore, in quanto si dice che sia stato lui a insegnare ai pastori a produrre i latticini, sia come capro espiatorio dei mali che affliggono l’umanità, e infatti viene bruciato a Carnevale. La sua stranezza è che piange quando il tempo è buono e ride quando è brutto. Questa sua curiosa “inversione meteorologica”, che è stata descritta dal poeta Matteo Boiardo nell’Orlando innamorato, la si ritrova in una leggenda relativa a Sant’Orso ad Aosta, mentre altri aspetti iconografici dell’Uomo selvatico sono equiparati a quelli di alcuni santi eremiti, tra cui Sant’Onofrio, San Cristoforo e Maria Maddalena.
Tra le narrazioni leggendarie o pseudostoriche diffuse un po’ dappertutto, particolarmente divertente è quella relativa alla “corsa per i confini”, tradizione che si fa risalire all’antica Grecia. In questo caso la corsa per i confini riguarda Licenza e Civitella e viene disputata prendendo come starter un gallo. Secondo quello che si racconta, infatti, per dirimere il contrasto tra gli abitanti di Licenza e Civitella riguardo ai confini territoriali, si era giunti ad un accordo. Ciascuna delle due parti si sarebbe mossa dal rispettivo paese, al canto del proprio gallo, e nel punto di incontro si sarebbe marcato il confine con una pietra. Come scrive Milvia D’Amadio, “Gli abitanti di Licenza pensarono di far mangiare a sazietà il proprio Gallo, affinché contento anticipasse il canto, consentendo loro di partire per primi; al contrario quelli di Civitella, con lo stesso intento, lo lasciarono a digiuno. Quest’ultima scelta si rivelò vincente: il Gallo affamato, svegliatosi anzitempo per la mancanza di cibo, cantò per primo dando così il segnale di avvio ai Civitellesi, che pervennero addirittura sino a Licenza mentre l’altro Gallo continuava a dormire”. Di certo l’accordo fu concluso a suon di botte e i Licentini furono costretti ad accettare l’inserimento del loro cimitero nel territorio di Civitella.
L’ultima parte del libro è dedicata alle “storie di vita”, storie spesso fatte di piccole cose, ma comunque degne di essere raccontate, come quella della centenaria Maria Assunta Maffei, e alle immagini patinate dal tempo dei fondi fotografici, come la Raccolta Romanelli, che ci mostrano alcuni gruppi familiari della prima metà del Novecento, magari riuniti per una prima comunione o per un matrimonio, le feste e le gite in campagna, ma anche gli altarini domestici e le processioni con il simulacro della Vergine.