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Rubrica: CULTURA


A SPASSO CON BUDDHA

Il fascino del buddismo per noi occidentali
giovedì 23 marzo 2006 di Emanuela Ludovica Mariani

Argomenti: Religione


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Si vive, spesso, con l’affanno turbolento di non potere e non sapere dare risposte ai mille accadimenti del quotidiano che corre ineluttabilmente. E si avverte così la necessità di trovare un luogo, lontano e appartato, dove riscoprirsi e re-indagarsi per dare, poi, aria e corpo ai nuovi afflati rigeneratori che un “viaggio verso sé” può donare. E, l’assenza di fisicità non é ostativa a questo tipo di viaggio anzi... potrebbe veicolare al meglio energie e pensieri che, per natura, possono risiedere e nascere in ogni dove. Nelle società occidentali, in questi ultimi tempi, s’é, sempre di più, avvertita un’esigenza di riscoperta e di profondità dei bisogni e dei sentimenti più sopiti. Ecco allora che le frontiere mistiche dell’Oriente lontano hanno conquistato ed ammaliato, avvicinando ad esse tantissime persone attratte da verbi forse più vicini al comune sentire e quindi meno imprigionati in ferrei dogmi e liturgie. Scoppia la buddismo-mania...

Ed é un fenomeno in crescita continua ed inarrestabile. Le sue avvenenti vesti, intessute di tolleranza, contemplazione e meditazione, sono “merce” irresistibile per tutti quei potenziali fruitori che, lontani dall’habitat naturale in cui le stesse vengono alla luce, le vogliono comunque indossare, per provarne un’ebbrezza breve come una sbornia o duratura come un grande amore! La letteratura buddista attribuisce la nascita del movimento al principe indianoSiddharta,poi conosciuto col nome di Gotama, che sarebbe vissuto nel IV secolo a.C. e che, come un San Francesco nostrano, spogliatosi di orpelli e ricchezze, vagò nelle foreste indiane alla ricerca della vera essenza della vita. E lo fece dapprima con l’ascetismo più duro ed assoluto, poi con la meditazione. E proprio la meditazione é uno degli assi portanti del buddismo.

Un maestro tibetano disse, a tal proposito, che “chi cerca di meditare senza la comprensione concettuale di cosa stia facendo é simile ad un cieco che sta cercando la strada in aperta campagna; una persona del genere può solo gironzolare senza sapere come scegliere una direzione anziché un’altra”. Ciò, sostanzialmente, é dato dal fatto che uno dei maggiori problemi dei meditatori occidentali risiede nella insufficiente preparazione concettuale alla pratica della meditazione. Con la testa piena di idee freudiane ed alle prese con problemi psicologici spesso non completamente risolti o addirittura ignorati, gli occidentali impegnati nella meditazione sono frequentemente sviati dalla propria confusione e dai propri desideri e conflitti. La retta via- disse Buddha - sta nel mezzo (via mediana) Il segreto della felicità sta nell’accettarsi così come si é, rinunciando ai desideri, la cui consapevolezza rende infelici non meno della loro realizzazione. Infatti, ogni desiderio soddisfatto porta a maturarne un altro ancora più grande. Rinunciare ai desideri significa rinunciare ad un’inutile sofferenza. Nella concezione buddista, la condizione suprema della felicità é quella del Nirvana, in cui l’uomo é felice non desiderandolo, é felice perché ha vinto l’illusione cosmica (maya). E questo Nirvana non é uno “stato”, bensì una “condizione” di assenza: non c’é morte e vita, non c’é gioia e non c’é dolore...

Ed é una condizione, appunto, a cui si giunge attraverso il c.d. ottuplice sentiero: retta visione, retto pensiero, retta parola, retta azione, retta forma di vita, retto sforzo, retta presenza di spirito e retta pratica della meditazione. Poi, potrà esserci il risveglio o l’illuminazione dal momento che, tutti, seguendo questo percorso, possono, potenzialmente, divenire dei Buddha ( dal sancrito “risvegliato” o “illuminato”).

E’chiaro che, con tali premesse, l’attrazione per una simile “pratica mistica” é potente ed elastica al tempo stesso. Tutto é rimesso alla volontà umana. Tutto é ammantato dalla liberalità individuale. Non ci sono dèì e non ci sono autorità a contestare l’umano agire. L’idea del peccato é assente. Il lavoro per vivere una vita corretta e felice é fortemente dipendente dall’applicazione ai retti dettami, in fondo universali, che sono i veicoli giusti per dare a sé stessi ed agli altri una rivoluzionaria idea di libertà: vivere sospesi nell’assenza. E, l’io che non riuscirà a sottrarsi alla cieca schiavitù del desideri, é destinato a reincarnarsi in eterno, almeno fino a quando non si sarà purificato interamente.

 

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