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Ferdinando di Annibale Ruccello

A “Benevento Città Spettacolo” Arturo Cirillo riporta in scena un “classico” contemporaneo firmando una regia rispettosa e coinvolgente
lunedì 17 settembre 2012 di Gianandrea de Antonellis

Argomenti: Teatro


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Scritto nel 1985, Ferdinando è considerato il capolavoro di Annibale Ruccello (1956-1986), promettente drammaturgo morto anzitempo, nonché capofila dei principali rappresentanti della Napoli teatrale del dopo-Eduardo, come Enzo Moscato, Manlio Santanelli e Ruggero Cappuccio.

Ferdinando è particolarmente attuale, dopo la sbornia delle celebrazioni del centocinquantenario dell’unità d’Italia, poiché attraverso la vicenda dell’attempata donna Clotilde (una specie di Oblomov borbonico al femminile) e del giovane Ferdinando, Ruccello racconta l’ascesa della nuova classe sociale, la borghesia rampante e senza scrupoli, che nell’Italietta liberale scalza definitivamente la decadente società aristocratica, dopo che i suoi rappresentanti (i Savoia) avevano scacciato i legittimi sovrani preunitari.

Il Ferdinando del titolo è un giovane, lontano nipote di donna Clotilde, che porta un raggio di sole nella grigia e monotona vita dell’ipocondriaca padrona di casa, relegatasi a letto ed accudita dalla nipote Gesualda (una parente povera accolta in casa, ma costretta al rango di governante), il cui unico diversivo è la quotidiana visita del parroco, don Catello. I tre personaggi sono legati da poco affetto e molto interesse, per cui esiste un reciproco, forte astio ed una rabbia che continua ad emergere. Donna Clotilde ritiene che entrambi mirino all’eredità e che questo sia l’unico motivo che costringe sacerdote e nipote ad essere cortesi con lei.

La routine viene infranta dall’arrivo del ragazzo, inizialmente visto come una benedizione, come un segno divino che porta nuova linfa in una famiglia avvizzita e destinata a scomparire, ma i rapporti che si instaureranno tra i quattro personaggi sfoceranno in ulteriori tensioni, gelosie ed invidie, fino al doppio finale tragico che riporterà le due donne alla triste vita di ogni giorno.

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FERDINANDO (Arturo Cirillo, Monica Piseddu - foto Marco Ghidelli)

Il lavoro potrebbe essere letto come una metafora del Mezzogiorno doppiamente stuprato e derubato dall’invasione piemontese; come esempio dell’incapacità di reagire di un’aristocrazia, quella borbonica, ormai infiacchita e chiusa nello sterile ricordo del glorioso passato; come passaggio – non solo dal punto di vista generazionale, ma soprattutto culturale – del potere da una classe corrotta sì, ma ancora capace di riconoscere alcuni principi (anche se li trasgredisce), ad una nuova leva invece assolutamente priva di qualsiasi scrupolo morale.

Il dramma fu scritto da Ruccello appositamente per Isa Danieli: per il regista Arturo Cirillo scegliere chi dovesse sostituirla nel ruolo di Donna Clotilde era un’impresa difficile; puntare addirittura su un’attrice giovane come Sabrina Scuccimarra poteva sembrare un azzardo oppure poteva divenire l’occasione (o il pretesto) per “rileggere” l’intero lavoro e trasformarlo – ad esempio – in una specie di musical, come era stato già fatto da Cirillo con L’ereditiera dello stesso autore stabiese e con Mettiteve a fa’ ammore cu’ mme di Eduardo Scarpetta. Peraltro con risultati eccezionali. Questa volta invece, Cirillo ha rispettato alla lettera non soltanto il testo, ma anche il ritmo originale, concedendosi solamente di recitare i quattro atti senza interruzione e di “riempire” i brevi spazi degli intervalli con limitate pantomime, peraltro necessarie alla sistemazione scenica.

Essenziali le scene di Dario Gessati, che si avvalgono di alcuni giochi di luce di Badar Farok (che illumina o nasconde l’enorme arazzo che funge da fondale), mentre i costumi d’epoca di Gianluca Falaschi presentano come unico omaggio al moderno non tanto la talare sbottonata da cui don Catello si asciuga il copioso sudore, quanto l’abito novecentesco di Ferdinando, palese rottura con il passato. Essenziali anche le musiche di Francesco De Melis, relegate ai soli, brevissimi intermezzi (mentre ne L’ereditiera rivestivano un ruolo di primaria importanza).

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FERDINANDO (Sabrina Scuccimarra, Nino Bruno - foto Marco Ghidelli)

Venendo alla recitazione, Sabrina Scuccimarra non ha fatto rimpiangere Isa Danieli, anche se l’intero impianto registico – tenendo pure conto del tour de force imposto dall’assenza di intervalli – ha evitato la sottolineatura di certe battute dall’applauso facile (che peraltro è arrivato, e a sproposito – ma questo è un problema del pubblico in sala, tanto bene abituato da tenere acceso il telefonino e rispondere alle chiamate… –, e non è stato raccolto dalla compagnia, che ha continuato a recitare: Ferdinando è un dramma, non una commedia).

Tale lettura ha permesso di spostare l’attenzione dalla protagonista e far emergere gli altri personaggi, in particolar modo la bravissima Monica Piseddu, talmente a proprio agio nei panni di Donna Gesualda, da far sembrare che la parte sia stata scritta appositamente per lei; altrettanto ben calato nel personaggio è risultato Arturo Cirillo-don Catello, che soffoca nell’apparente algore il fuoco che lo pervade; ed ha superato la prova anche il giovane Nino Bruno, attentamente scelto dal regista dopo molti provini, un Ferdinando che si è presentato, come accennato, in abiti novecenteschi, a sottolineare la sua appartenenza

 

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