Nel ‘500, di fronte alla corrutela imperante in Italia e alla dominazione spagnola, si levano due voci per scuotere le le coscienze dei cittadini del nostro paese.
Con modalità diverse Macchiavelli invoca il risveglio nazionale in nome dell’amor patrio e propugna che ogni interesse particolare debba essere sacrificato alla “ragion di stato”.
Guicciardini invece sposa l’interesse privato dei singoli e la politica del quieto vivere. Ad uno stato accentratore, vaticinato dal Macchiavelli e retto dal “Principe”, Guicciardini antepone invece il laissez-faire, dicendo che ad un popolo che ha le gambe di d’asino non si possono dare le gambe di cavallo.
Seguono due schede su questi due autori, lasciando ai lettori le considerazioni tra la situazione politica del ‘500 e quella dei nostri giorni.
Machiavelli e “Il Principe”
Il cinquecento, secolo chiamato d’oro per quel fine gusto estetico – letterario, dal lato politico è un secolo statico.
In Italia si svolge una vita galante e raffinata, scettica e gaudente sotto l’imbelle dominazione straniera. Il problema politico, tra tanto fiorire di lettere e tra tanta riesumazione di opere classiche, non viene affrontato da nessuno.
Davanti allo spettacolo di un paese e di un popolo decadente si leva la figura di un uomo, il Machiavelli, che protesta la sua indignazione.Niccolò di Bernardo dei Machiavelli è nato a Firenze il 3 maggio del 1469, è considerato un idealista e il creatore della scienza politica moderna.
Richiamandosi alle antiche virtù romane egli elabora quell’opera monumentale che si chiama “Il Principe”.
Come Dante nella Divina Commedia, anch’egli invoca il “veltro” per la resurrezione dell’Italia; al governo temporale e spirituale egli auspica l’instaurazione di un unico governo impersonato da una figura ideale d’uomo al quale sia tutto lecito.
Sommo ente per il Machiavelli è la Patria a cui ogni altra cosa va sacrificata. La forma di governo, monarchia o repubblica, per lui è secondaria; interessa solo lo Stato.
Se da un lato a lui va attribuito il merito del risveglio nazionale e del concetto di Patria, inesistente a causa della dominazione spagnola e dell’imperante corruttela nazionale, dall’altro non si possono accettare taluni principi e cioè che ogni diritto spetti allo Stato o a chi lo impersona e nessuno ai cittadini. Come pure che ogni diritto particolare debba essere sacrificato alla “ragion di Stato”. Secondo il Machiavelli “Il Principe” è il deus ex machina e di fronte a lui tutti i cittadini sono subordinati. Ma, come è facilmente intuibile, ciò significa la dittatura, il che contrasta con la libera coscienza dell’uomo.
Nonostante i suddetti principi inaccettabili, il Machiavelli ebbe il merito di risvegliare la coscienza politica italiana e di additare ai posteri l’idea di una via nazionale di governo. Non a caso egli ripete il verso petrarchesco: “l’antico valore nell’italico cor non è ancor morto”.
In conclusione,. come afferma il Mannucci nella sua “Storia della letteratura italiana” vol.II, “la sua immagine si profila alta e nobile, come quella di un geniale apostolo e profeta, in mezzo ad un popolo non privo ma dimentico delle originarie virtù”.
Morì improvvisamente il 10 gennaio 1527 e fu sepolto nella chiesa di Santa Croce in Firenze e sulla sua tomba fu iscritto: “tanto nomini nullum par elogium”.
Guicciardini e il suo pensiero
Figura di non minor tempra ma di minor valore, rispetto al Machiavelli, è il Guicciardini
Francesco Guicciardini è nato a Firenze il 6 marzo 1483, coinvolto dalla corruttela del tempo, non si dimostra insofferente, bensì rassegnato alla situazione del tempo.
La sua opera,1403 “Ricordi politici e civili”, in linea generale sono ispirati ad un utilitarismo pratico. In luogo delle cose assolute il Guicciardini consiglia quelle relative. Invece delle cose eroiche, quelle possibili; in luogo del dovere , il vantaggio, ecc.
Non pensa, come il Machiavelli, ai valori ideali ma a quelli particolari; ama sì la patria ma subordinatamente al suo “particolare”, al suo quieto vivere. In pratica ha una posizione antitetica a quella dell’autore del “Principe”.
Il Guicciardini loda quell’interesse privato che il Machiavelli esecrava e che i forti e gli eroi, per ragioni di interesse superiore, non prendevano in considerazione.
Gli uomini – dice il Guicciardini – “conducono bene le cose loro in questo mondo, che hanno sempre innanzi agli occhi lo interesse proprio, e tutte le azioni sue misurano con questo fine”. E ancora, parlando del comportamento dei cittadini di Firenze, afferma: “Non era ufficio nostro voler dare leggi all’Italia, non mescolarci nelle questioni dei re dei cristiani; abbiamo bisogno di fare che i mercadanti nostri, che sono la vita nostra, possano andare sicuri per tutto; di non fare mai offesa ad alcuno principe grande”.La tattica è, quindi – come innanzi detto – quella del quieto vivere e dell’ “utile” particolare.
Tale dottrina spiega il sacco di Roma e tutta la catastrofe del 500 perché una società che evita i rischi ed i sacrifici per difendere se stessa ed il bene comune è destinata a prostrarsi e ad annichilirsi miseramente.
Ad uno Stato accentratore e retto da un principe, il Guicciardini propende per l’autonomia delle città o tutt’al più per un federalismo.
In sintesi dio del Machiavelli è il principe, dio del Guicciardini, invece, è l’interesse privato; la sua dottrina, come ben dice il Mannucci (Storia della letteratura italiana, vol.II); “è quella dell’uomo savio il quale può anche amare la libertà, la verità, la religione, la giustizia, ma finisce col non avere alcun idolo patrio, né morale, né religioso; può talvolta levarsi anche alla contemplazione dell’ideale, ma in fondo vive di calcolo. Gli uomini che agiscono diversamente, non sarebbero “savi”, ma “pazzi”.
Spirito logico e pratico il Guicciardini si rese conto che ad un popolo che aveva gambe d’asino non si potevano dare quelle di cavallo.
Più che come uomo politico, il Guicciardini è apprezzato come storico. Le sue opere “Storie fiorentine” e la “Storia d’Italia” in 20 libri, sono scritte con metodo annalistico e costituiscono per la loro imparzialità il miglior saggio della storiografia del 500. Esse si fondano su relazioni diplomatiche su carteggi di principi e di repubbliche, su trattati, in gran parte vissuti dall’autore in ragione dei suoi altissimi uffici pubblici che ricoprì durante la sua vita.
Morì il 22 maggio 1540 nella sua villa di Arcetri.