Albino Pierro nacque a Tursi, in provincia di Matera, il 19 novembre 1916, un paese della Lucania situato su una roccia argillosa, tra la valle dell’Agri e quella del Sinni, non lontano dal mare Ionio e dalla pianura di Metaponto.
Dopo pochi mesi dalla nascita resta orfano della madre, Margherita Ottomano, insegnante elementare e viene affidato alle cure di due zie, mentre il padre si risposa.
- Tursi
Alla mancanza dell’affetto materno, che peserà su tutta la vita del poeta, si aggiunge una grave malattia agli occhi per cui rischia la cecità.
Pertanto già dalla piccola età comincia a prediligere la solitudine ed a trascorrere il suo tempo nella campagna del padre, tra i contadini, inebriandosi delle meraviglie della natura.
Dopo aver frequentato nella sua regione gli obblighi scolastici, la giovinezza del poeta è legata a continui spostamenti dovuti alle difficoltà di ambientarsi e di seguire un corso regolare di studi. Solo nel 1939 si trasferisce a Roma, si iscrive alla facoltà di magistero e nel 1942 sposa Elvira Nardone dalla quale ebbe solo una figlia, Maria Rita, che sarà una delle ispiratrici delle sue liriche in lingua.
Alla fine del 1944 si laurea in filosofia e pedagogia e inizia la sua attività di docente di storia e filosofia presso un liceo di Roma, attività che proseguirà fino al 1971, quando viene nominato ispettore ministeriale.
Nel 1946 inizia a pubblicare in italiano le “Liriche” cui seguiranno nel 1949 le “Nuove Liriche”, nel 1950 “Mia madre passava”, nel 1956 “Il paese sincero”, nel 1957 “Il transito del vento”, nel 1958 “Poesie” e nel i959 “Il mio villaggio”.
- Tursi
Nel 1960 escono insieme “Agavi e sassi” e “A terra du ricorde”, prima raccolta di liriche in dialetto tursitano a cui seguiranno molte altre sillogi tra cui sono da citare: “I ’nnammurete”, “Metaponte” (1963) e “N ‘du piccicarelle di Turse” (1967), “Ecco a morte” Premio Chianciano nel 1969 e tante altre fino all’ultima silloge del 1992 “Nun c’è pizze de munne”, edita da Mondadori.La sua fama cresce a tal punto che viene rinnovata per qualche anno la sua candidatura al premio Nobel.La sua cagionevole salute lo costringe a subire un intervento chirurgico che, a causa di impreviste e sopravvenute complicazioni, dopo vari giorni di dolorose sofferenze, lo porta alla morte il 23 marzo 1995.
La poesia di Albino Pierro corrisponde alla sua vita fatta di amarezze e sofferenze, con qualche fugace luce di gioia.Nelle sue liriche si avverte una sensibilità quasi morbosa dovuta al suo temperamento fatto di luce e di tenebra che si alternano continuamente.
Come poeta meridionale è particolarmente vivo nelle sue opere l’ attaccamento alla sua terra lucana, fatta di solitudine e di abbandono. Attaccamento che diventa viscerale quando parla del suo paese natìo, dell’ambiente domestico, della sua infanzia, dei suoi cari perduti che ricorda sempre in un alone di magìa.
Il suo canto - come dice lo stesso poeta in una intervista - “sgorga irrazionale e irrefrenabile, come se si ridestasse da un sonno profondo, da cui per incanto emergono suoni e colori“, voci lontane di una vita dispersa che vincono i silenzi della notte e il buio della morte”.
Ascolta un mondo naturale ed arcano, colloquia con la natura:
I colloqui
dell’anima mia
con le ombre sui tetti e i fantasmi
della buia campagna
con gli assioli, le stelle, i miei morti.
Il poeta dice ancora "mi ridesto come da un sepolcro antico".
Quanto alla scelta e alla conversione al dialetto del suo paese, non è un mero ed occasionale capriccio letterario, bensì è per il poeta una profonda esigenza, avvertita come ”parlèta frisca di paìse“, per recuperare una verginità espressiva atta ad aggredire la “dialettalità delle cose“, tornando al realismo sociale in antitesi all’ermetismo.
Per Pierro l’adozione del dialetto rispecchia “un atto di amore per la propria terra, di nostalgia dell’esule”. Spiega tale scelta quando accenna al “senso quasi angosciato” del distacco dal paese natale, nel ritorno a Roma del 23 settembre del 1959, ricordando “la commozione intensa” che lo prende quando, affacciatosi al balcone della casa avita, rivede la sua terra; in quel momento nasceva la sua prima lirica in dialetto dal titolo “Prime di parte”:
La notte prima di partire
me ne salii al balcone di sopra
e là sentivo i grilli che cantavano
nascosti nel nero delle montagne.
Una lunicella bianca come la neve
imbiancava gli embrici del convento
ma al palazzo mio
tutti i balconi erano vuoti.
La complessità dei motivi poetici si esprime ora in tratti folgoranti e in violenti contrasti come: “il precipitare azzurro della sera e l’estasi dei burroni del suo paese”, ora in una prostrazione dolorosa del suo animo per cui l’ordine della realtà che lo circonda sembra scompaginarsi e frantumarsi.
Un altro tema presente nelle sue liriche è l’elemento tanatologico._ La dolente umanità della sua anima solitaria si angoscia al pensiero della morte e piomba nel buio del più profondo sconforto. Al riguardo nella poesia “Breve cerchio” dice:
O morti
la vostra pace solenne
laggiù nella casa del villaggio
è l’aureola della mia fronte.
Mai mi vedrete nel mondo libero dalle vostre ombre.
Una particolare predilezione il poeta ha per il ricordo della madre che è vivo e cocente nella lirica “A Ravatène “:
Ma io voglio bene a Rabatana
perché c’è morta mamma mia
la portarono bianca sopra la sedia
con me nelle fasce come una Madonna
col Bambinello in braccio.
Dalle prime liriche del 1946 fino a quelle del 1949. del 1955 e del 1956 l’arte poetica di Pierro ha seguito una continua linea ascensionale rivelando nell’ultima silloge una complessa e vigorosa maturità di pensiero.
Balena in queste liriche anche un anelito religioso che si irradia su tutto il suo mondo interiore che sovente si sofferma sul senso della vita e della morte, sul dolore, sulla sofferenza e sulla speranza.
In “Serenata” è vivo il rapporto fra il presente e il passato lontano della sua giovinezza:
Fu al portone di quella casa
che si arrestò scalpitando
il bianco cavallo della mia giovinezza
fu per quelle scale in ombra
ch’io salivo e scendevo
con l’anima accesa e silenziosa”.
La sua poetica, come la sua anima errante, è sempre attaccata al paesaggio della sua terra, alla sua casa natale:
Benvenuto mio paese
benvenuta voce della pineta
nel calmo chiaro della luna eterna”.
Il poeta è inoltre in una continua meditazione sulla condizione esistenziale dell’uomo, sulla brevità del viaggio terreno e sull’arcano che ci circonda, sulle ragioni del male e del dolore che affliggono l’umanità.
La precarietà della condizione umana, la fragilità dell’essere e la caducità di quello che ci circonda sono tutti temi sempre presenti nella sua poesia.Ecco come immagina la vita dopo la morte:
- Albino Pierro
Finirà l’oscurità della carne
e poi saranno i pleniluni
dei luoghi abbandonati.
L’antica parola stillata della Croce
farà compagnia ai morti;
un più vasto regno ci attende
avremo per compagni astri fermi
e comete in corsa
la nuova parola sarà il silenzio”.
Nella lirica “Sedia vuota” il poeta si sofferma con tanto lirismo sul contrasto fra tenebra e luce, tra la morte e la vita:
Nell’aria
c’era il fresco delle foglie
e il canto degli usignoli.
Più nessuno farà ritorno
dal silenzio
e ci saranno ancora i mattini
col canto degli uccelli”.
- Matera
Nella silloge ”A terra d’u recorde” Pierro racconta la “magia dei luoghi” della sua infanzia, con una regressione per il desiderio di riassaporare i giorni quando bambino faceva scorribande per le strade, le balze e i dirupi del suo paese.Nella raccolta “I ‘nnammurète”, canta con tanta delicatezza i momenti d’amore come in questi versi:
Se muoio prima di te
o quando siamo lontani
leggilo tutte le sere questo libretto
e come fossi io che ti baciavo,
poi stringitelo al petto”.
Sottolinea ancora il poeta la suggestione del momento contemplativo degli innamorati:
Si guardavano zitti
e senza fiato gli innamorati.
Avevano gli occhi fermi e brillanti”.
Nella visione dell’amore domina il senso della sublimazione spirituale e del magico affiatamento, nonchè il senso della labilità e della fragilità.Ecco ancora quanta tenerezza e fascino sprigionano questi versi:
Entrasti come il fuoco scintillante
in una grotta ghiacciata
e lo portasti il sole
nella mia cameretta
che i sospiri della morte
avevano rimpicciolita e annerita”.
La poesia dialettale di Pierro fa rivivere un mondo arcaico fatto di presenze e di figure inquietanti, di paure infantili, di favole e di miti che ne fanno il cantore del mondo contadino lucano, di un mondo animato da leggi non scritte, tramandate nel tempo. Fa da sfondo a questo mondo la sua amara solitudine, dovuta, oltre che ad una sua particolare condizione spirituale, anche ad esperienze molto dolorose.
- Albino Pierro
La lettura dei suoi versi testimonia un tempo fermo della storia, quel tempo che Hegel definiva mitico.