Il rapporto tra politica postmoderna e scrittura si delinea, negli ultimi vent’anni, in una miriade di galassie interpretative in cui la critica della società, l’espressione della soggettività e la militanza politica esprimono una problematicità non solo contenutistica, ma soprattutto formale. “Scritture di resistenza. Sguardi politici dalla narrativa italiana contemporanea”, Carocci 2014, si prefigge quindi un obiettivo arduo e ambizioso: indicare, nella narrativa italiana contemporanea, le testimonianze capaci di creare una frattura critica nella trama del reale, ma soprattutto riflettere sulla prassi della parola e la propria funzione testimoniale dentro la società. Il testo, curato sapientemente da C. Boscolo e S. Jossa, non delude le aspettative.
La selezione di tre tematiche specifiche (la scrittura del precariato, il giallo noir, la storia d’Italia), si sviluppa nel più ampio problema filosofico della relazione tra realtà e descrizione della realtà. Nella parte iniziale si analizza la distinzione tra romanzo storico e finzione metastorica. Se il primo è chiaramente rappresentabile da I Promessi Sposi, e definisce una poetica “sociologica” ben precisa, è il secondo a segnare la nostra epoca: l’autore “metastorico” prende posizione e costringe il lettore a fare altrettanto. Le caratteristiche di questa scrittura sono molteplici: frammentazione della narrazione, rifiuto delle conclusioni, problematizzazione della memoria ecc. Parlante e parlato si fondono, e così i registri linguistici.
Nella poderosa lista di personaggi citati nelle successive investigazioni, basti menzionare Giuseppe Genna, e quell’Italia degli anni ’80 in cui cinquanta milioni di italiani “per la prima volta nella storia diventano cinquanta milioni di spettatori italiani”. In Dies Irae si racconta il caso Vermicino, ma anche quello dell’autore e del Paese. La funzione metastorica della scrittura divide il fatto dall’evento, la descrizione del mondo dal mondo: è in questo spazio crudo ma anche onirico che la critica politica rivela la fragilità di uno Stato dove alla narrazione istituzionale si accompagna una trasformazione antropologica del cittadino, condannato di lì a poc’anzi a cavalcare e subire la nuova democrazia catodica.
Nel lavoro di Parazzoli invece la différance linguistica si sviluppa attraverso l’omicidio di Aldo Moro. Lo scrittore si affida a Satana in persona per raccontare la genesi del delitto. Il male non appartiene a nessuna entità soprannaturale, non ha a che vedere con complotti, servizi segreti, patti indicibili: non c’è un agente esterno che ci induce in tentazione, il marcio è dentro di noi. “Dicono che sia io a suscitare le tentazioni. Sciocchezze. Le tentazioni le avete già dentro, come le uova nel ventre di un pesce femmina. Io le fecondo, io gli do corpo”, afferma Satana.
L’obiettivo di queste narrazioni, nella loro diversità, è incrinare la versione ufficiale attraverso linguaggi che non restituiscano un significato al presente ma, come sottolinea Boscolo, servano “a superare entrambi, passato e presente, attraverso una anamnesi che permetta di accedere ad una più ampia area di consapevolezza”.
Il procedimento si sviluppa similmente nella prosa degli autori rivolti al mondo dei lavoratori precari. La frantumazione del lavoro e la nascita di un nuovo schiavismo nel cuore delle grandi metropoli occidentali produce una letteratura di denuncia in cui frustrazione, ironia e disincanto si alternano efficacemente in una versatilità linguistica e descrittiva. La figura dell’operaio-macchina, privo di diritti e divenuto una funzione, si accompagna alle esperienze offerte dai collettivi contro lo sfruttamento: l’intreccio tra protesta, cambiamento e diritti cattura l’interesse del pubblico perché il confine tra narrante e narrato si fa sempre più sottile, e la denuncia diventa una condizione esistenziale unificante.
Anche l‘analisi dei gialli, del noir, dell’hard boiled (per citarne solo alcuni fra i molti: Lucarelli, Fois, Carlotto) evidenzia il desiderio di uscire fuori dalle ermeneutiche ufficiali, per addentrarsi nei meandri di una storia ben più complessa di quanto i media istituzionali vogliano far credere.
Questo tipo di scrittura tuttavia, divenuta ormai un business letterario contemporaneo, e troppe volte dedita unicamente alle esigenze del mercato, rappresenta la più complessa, a mio avviso, da definire: la frattura e la resistenza alla narrazione ufficiale rischiano di sostituirsi alla medesima, e non a decrittarla.
I curatori naturalmente ne sono consapevoli, e affrontano la questione in maniera ben più ampia di quanto consentito nella presente sede: per questa ed altre ragioni, “Scritture di resistenza” fa parte di quelle letture assolutamente consigliabili per chi voglia approfondire il rapporto tra politica e letteratura.