Gli scaffali delle librerie traboccano di libri, troppe volte inutili. Tutti scrivono, tutti si sentono il diritto di dire qualcosa, anche quando in verità non avrebbero molto da raccontare.
La qualità della produzione letteraria sembra crollare inesorabilmente; per questo, quando si legge un’opera che scompagina ogni pregiudizio, e riscatta una intera generazione di scrittori, non bisogna esimersi né aver paura di usare il termine appropriato per descriverla: capolavoro. Si tratta del romanzo di Francesco Maino, “Cartongesso”, edito da Einaudi e vincitore nel 2013 del prestigioso Premio Calvino.
Maino riesce a catturare il lettore dalla prima all’ultima pagina, inevitabilmente: scompagina l’immagine finta del Veneto attuale, ma si può affermare dell’Italia intera, e frantuma l’edulcorata descrizione catodica della realtà tanto di moda negli ultimi trent’anni.
La terra di Dante, devastata e sottratta alla bellezza, appare ormai come un cadavere nauseante, dove perfino la protesta sembra inutile. Uomini intenti a diete vegane ma imbottiti di cocaina, ragazzi lobotomizzati nelle discoteche-balere, donne suppellettili, tutto ciò denota la condizione esistenziale di chi affonda in una realtà ormai priva di redenzione.
Maino è testimone di una umanità perduta, dedita a infiniti aperitivi sorseggiati da ventri sfatti, città in cui lo straniero è carne da macello o da sfruttare, e le persone – formiche impazzite – prostituiscono se stesse per sfoggiare il macchinone, per attirare l’invidia di colleghi, di ragazzette dai facili costumi, o per negare a se stessi ed al mondo di essere solo melma fra cadaveri ambulanti.
Molte immagini affollano queste pagine maledette dalla solitudine, da cene tristi e paesaggi devastati, ma a poco a poco ognuna si perde per via, dentro la propria inerzia o squallore, per lasciare spazio alle riflessioni private del narratore.
Il lirismo delle vicende personali dello scrittore, la lotta contro la morte e l’abbrutimento, le difese processuali sgangherate di poveri cristi, le birre gelate per assecondare una sete non certo fisica, arrivano nel profondo dell’animo. Il rapporto con i genitori, con le ragazze passate nella sua vita ed andate via perché “non ci sono le condizioni”, il lavoro alienante a fianco dei reietti e di avvocati-topi di fogna – nulla lascia indifferente, tutto travolge come le onde di un mare nero d’emozioni e sensazioni.
La scrittura è avvincente: oltre ai contenuti, il grande romanzo è soprattutto forma, e Cartongesso ne è testimonianza. La penna di Maino è una saetta che spezza un cielo claustrofobico, privo di ossigeno, il quale non pesa sopra le nostre teste, ma dentro il nostro cuore.
Tante storie, tanti messaggi, semmai la letteratura debba e voglia averne. E tante vite, le stesse che Sisifo, nel mito celeberrimo interpretato nel saggio di A. Camus, sembra costretto a fare e disfare ogni giorno, schiacciato da un destino inesorabile che tuttavia, proprio come Maino sussurra in alcune pagine, può anche essere accolto serenamente, giorno per giorno, e trasformarsi in testimonianza di una esistenza vera.