John Burnside è un poeta scozzese pluripremiato, docente di scrittura creativa vicino Edimburgo, e uomo dalla vita alquanto tormentata. Picchiato e seviziato da un padre violento, per anni ha affogato i suoi drammi in alcol e droga, trascorrendo alcuni periodi in un ospedale psichiatrico.
Fortunatamente oggi pare una persona più serena ed equilibrata: il merito di tale conquista sembra riconducibile anche alla vena creativa, capace di redimere i momenti particolarmente odiosi che ci cadono addosso. L’ultimo romanzo, Glister, riassume esattamente questi due tempi esistenziali: da una parte l’inquietudine e l’orrore, dall’altro la bellezza salvifica.
In una conferenza tenutasi a Roma pochi giorni fa (Mercoledì 14 aprile, ore 18.00 - Casa delle Letterature, piazza dell’Orologio 3 – Roma), l’autore ha dichiarato di essere un inguaribile pessimista (perché Scozzese!), ma nonostante tutto, fondamentalmente calmo innanzi al mostro deforme della società attuale. Davanti alla imminente fine, causata dall’ignavia umana, c’è sempre la possibilità di un nuovo inizio e la presente convinzione rivela non soltanto l’attesa di una redenzione possibile, ma anche l’energia della propria arte davanti agli abusi assurdi del reale. Se infatti si vuole esprimere un giudizio sull’opera di Burnside, bisogna innanzitutto apprezzare l’assoluta bellezza della prosa - resa in italiano da un’ottima traduzione - e l’intima potenza taumaturgica di una forma in grado di rinnovare anche un mondo tremendamente turpe.
- John Burnside
La storia racconta di una città post industriale semi abbandonata, dove accadono strani delitti efferati, a scapito di ragazzini del luogo. Fra tutti spicca l’astuto Leonard, un personaggio singolare, amante dei libri e particolarmente attratto dall’ambiente circostante. In esso infatti egli riesce ad individuare sprazzi di vita splendente, non solo ciò che oggettivamente è: esalazione fetida, putrida, carcassa meccanica e arrugginita. L’Innertown è un relitto postfordista inquinato e cancerogeno. Gli abitanti della città contraggono tumori e malattie, la gente muore prematuramente e senza nemmeno capire bene perché. Una vegetazione inquietante e selvaggia, ricca di creature deformi, l’abbraccia e la isola dal mondo.
La visione prodotta da Burnside ricorda quella di un conflitto post atomico: i resti umani e materiali sopravvivono a se stessi, in attesa della caduta o della redenzione.
A mio avviso, questi concetti sono a fondamento dell’architettura del testo e ne stabiliscono la direzione: banale è definire il libro un semplice giallo, soprattutto se paragonato all’incessante pubblicazione di autori che occupano interi scaffali delle librerie. Il lavoro di Burnside infatti si colloca anni luce sia per la qualità della storia e la sua poliedricità, sia per uno stile raffinato e incisivo. È letteratura, non prodotto commerciale.
La traccia poliziesca appare solo una delle strade percorribili, la più letterale, mentre l’opera, per le ragioni suddette, accarezza il lettore, lo cattura e lo seduce, trasportandolo all’interno di mondi e interpretazioni parallele, accanto ai personaggi del libro, spettatore di crimini e di peccati d’omissione, ma anche inevitabilmente affascinato dai segreti nascosti nella fetida città.
A volte sembra di percorrere le pagine di una bibbia senza Dio, o viceversa assistere alla assoluta impassibilità di un sommo creatore indifferente davanti a tanto orrore, incurante del destino assegnato ai diletti figli.
Se il dolore e la miseria sono certamente parte integrante dell’opera dello scrittore scozzese, il lettore viene in qualche modo accudito e consolato da quella scrittura di cui sopra, capace di redimere e illuminare.
Glister è un ottimo libro e certamente raccomandabile a quanti, stufi di leggere tomi ridicoli e pedestremente scritti, desiderano abbandonarsi ad una allucinazione assurda e tremendamente reale allo stesso tempo, dalla prima all’ultima pagina, fino a scoprire ciò che attende i protagonisti, il loro destino di salvezza o morte.