Il libro viene così presentato dalla casa editrice Einaudi: “Quanta solitudine che c’è. In Europa la guerra è cominciata, eppure da noi qualcuno si illude ancora che sia possibile tenerla fuori della porta. E poi sta arrivando la più bella delle feste, quella dove si mangia, si beve, ci si abbraccia, quella in cui ci si scambiano doni con le persone care; non bisogna avere pensieri tristi. La solitudine, però, la solitudine vera, è difficile da scacciare.
Puoi essere solo perfino se stai in mezzo alla gente, se hai una famiglia, degli amici. Soprattutto puoi essere solo se decidono che sei diverso, magari perché non sai parlare, o perché ami persone del tuo stesso sesso. O perché, dicono, sei di un’altra razza. Anche Erminia Cascetta era diversa, a modo suo. Aveva troppa voglia di vivere, perciò l’hanno uccisa. In questo tempo che accelera verso l’abisso, spetta al commissario Ricciardi e al brigadiere Maione scoprire chi è stato. La chiave di tutto, però, è sempre la solitudine. Che, a volte nemmeno lo sappiamo, ci siede accanto.
Senz’altro il Natale del ’39, fu un festività particolare, l’ultimo ancora abbastanza sereno prima della II guerra mondiale. Gli anni del fascismo avevano già inferto sofferenze ai più deboli e generato un clima di insicurezza, inquietudine, sospetto e delazione, mentre imperversavano le leggi razziali e le notizie della guerra sempre più vicina creavano angoscia e un grande senso di solitudine.
E il 18 dicembre 1939 anche il Commissario Ricchiardi, malinconico e solo nel suo ufficio, ormai vedovo dopo la morte dell’amata Enrica, pensa alla figlia Marta, di cui si occupa con affetto con l’aiuto della tata, Nelide, dei genitori di Enrica, dell’amica Bianca contessa di Roccaspina e del brigadiere Maione, valido e costante supporto sia nel lavoro che in famiglia. Bussano alla porta ed è proprio Maione che lo informa di un nuovo delitto: è stato trovato il cadavere di Erminia Cascetta che abita con la madre immobilizzata a letto. Dall’autopsia si copre che era incinta. Ricciardi intuisce che l’assassino conosceva bene la vittima e pertanto continua ad indagare fino alla scoperta dell’assassino.
Dopo il libro Caminito, ritorna dunque il Commissario Ricciardi con Soledad, romanzo che ha lo stesso titolo della nota canzone sulle note di uno struggente tango argentino, interpretato da Laura Lobianco, fuggita dall’Italia, che si esibisce nei caffè di Buenos Aires. Soledad, ovvero la solitudine è il leitmotiv del romanzo e che avvolge non solo Ricciardi, ma diventa qualcosa di corale che pervade e invade l’atmosfera, ma per fortuna a contrastarla c’è il potere dell’amore che fa cambiare le persone e che si espande anche oltre la vita, perché l’amore è più forte della morte: perfino la solitudine parla d’amore che si manifesta in tutte le sue forme, sia nella gioia che nel dolore.
E Ricciardi stesso incarna un tipo di napoletanità differente: malinconico, mite, laconico e schivo, ricco e di nobili natali potrebbe vivere agiatamente, ma ha scelto di lavorare per la polizia: quando indaga viene colto da una forza compulsiva indotta dal Fatto, il dono di captare le ultime parole dei deceduti su cui indaga. Il tormento di quelle voci lo getta in un vortice di emozioni che lo costringe ad agire.
Come negli altri romanzi della serie, l’indagine appare quasi un pretesto per descrivere atmosfere, personaggi, sentimenti. Confesso in tutta sincerità che non sono un’amante dei gialli, ma leggo con piacere i libri di De Giovanni, forse perché sono napoletana e trovo in essi un’identità precisa di riferimento che trascende il racconto in sé. Si respira “aria di Napoli” in ciò che scrive e descrive: siano essi aspetti negativi o positivi, sono comunque aspetti veri di una città, e soprattutto di un popolo che non ha perduto la sua “identità”
- Maurizio De Giovanni
Concludendo, ancora una volta Maurizio de Giovanni entra nell’anima dei personaggi, descrivendo sentimenti universali che non hanno tempo. Un altro bel romanzo, dallo stile scorrevole e coinvolgente
Giovanna D’Arbitrio