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Sangue d’Italia (Manifesto Libri, Roma, 2008)

I NODI DELLA STORIA ITALIANA NEL NOVECENTO

Nella rivisitazione di Luzzatto
martedì 28 aprile 2009 di Carlo Vallauri

Argomenti: Storia
Argomenti: Recensioni Libri
Argomenti: Sergio Luzzatto


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Anticonformista nelle scelte degli argomenti ed altrettanto originale in Sangue d’Italia (interventi nella storia del Novecento), Sergio Luzzatto affronta temi diversi riconducibili all’esperienza delle guerre combattute dagli italiani nel secolo scorso e quindi al nesso che unisce la due esperienze, cioè il regime fascista.

E l’autore inizia il suo lavoro con la disamina di quella spinta al massacro, scelta deliberatamente da una minoranza di politici ed intellettuali che condusse al disastro l’intero paese, sottoponendo a immani sacrifici milioni di contadini analfabeti, come scrive espressamente. Ecco perché, pur essendo il volume una raccolta di scritti giornalistici, ne viene fuori un mosaico abbastanza omogeneo e strutturato. Un primo punto analizzato è quello della incoerenza dei singoli personaggi pur validi sotto alcuni aspetti ma tanto esposti alla debolezza umana da cadere nelle contraddizioni drammatiche di Silone o nel riciclaggio dei dirigenti dalla polizia fascista a quella della repubblica democratica. La “continuità” di uno Stato, quasi una sacralità intoccabile, ma anche il frutto di sovrapposizioni nominalistiche, segno appunto di una debole corteccia etica, colpita dai virus provocati dal contorto stato di “necessità”, tipica motivazione per spiegare comportamenti tipici nei regimi totalitari. Regimi che peraltro – osserva Luzzatto – riescono ad utilizzare con profitto i nuovi strumenti di comunicazione politica di massa (ne parla a proposito del Minculpop). Sulla “moralità” della Resistenza peraltro gli storiografi italiani si sono esibiti nella loro copiosa produzione: l’insegnamento di Pavone resta esemplare. Così sulla “rinascita” della patria, dopo l’8 settembre, vi sono nel libro poche ma salutari parole, come le “ultime lettere” dei caduti, raccolte da Franzinelli.

Nei confronti dei “cantastorie” che ogni fine anno producono un nuovo libro di “misteri” vi sono osservazioni altrettanto pungenti, con un giusto richiamo critico all’uso generico del termine “vittime”, come nel caso dei resistenti uccisi alle Fosse Ardeatine.

La memoria difficile trova espressione anche nelle considerazioni sulla “liberazione” degli italiani come sulla “imbarazzante” leggerezza di Togliatti a proposito della famosa amnistia del luglio ’46 mentre una figura carismatica quale Di Vittorio emerge in tutta la sua lineare limpidezza. Interessante poi la “riscoperta” del valore dei pensatori quali Ernesto Rossi e Gaetano Salvemini, come emergono nella loro corrispondenza pubblicata nel 2004.

Curiosa appare la lettura che Luzzatto fa di uno storico discusso come Franco Andreucci, di cui ricorda le falsificazioni della realtà sul comunismo sovietico attribuendogli dopo gli “errori”, un testo “intellettualmente onesto”, civilmente necessario: condivisibile in quell’ambito invece l’importanza che l’organizzazione del PCI ebbe per la formazione politica dei militanti comunisti. Infine non condividiamo i dubbi dell’autore a proposito dell’uccisione di Moro che, a nostro avviso, fu la logica conclusione della politica “doppia” dei due gruppi politici italiani, dai quali dipendeva la sua sopravvivenza, mentre nei salotti eleganti si blandivano coloro che avevano osannato al rapimento, senza comprendere di comportarsi come Pilato.

 

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