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I DANNI DEL COLONIALISMO, SECONDO AMILAV GHOSH

Riflessioni sul libro La maledizione della noce moscata
sabato 18 febbraio 2023 di Giovanna D’Arbitrio

Argomenti: Recensioni Libri


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Giornalista e antropologo, Amilav Ghosh è considerato oggi uno dei più brillanti scrittori indiani, autore di vari libri su importati temi di attualità e sui danni arrecati dall’Uomo alla Terra, in particolare su quelli causati dal colonialismo del passato e del presente da lui evidenziati nel suo nuovo saggio “La Maledizione della Noce Moscata- Parabole per un pianeta in crisi” (Ed. Neri Pozza), in cui partendo dallo sterminio degli abitanti delle isole Banda nel XVII sec., spiega come l’imperialismo coloniale abbia continuato a devastare il nostro pianeta con le stesse distruttive strategie, sempre presenti in tutte le epoche fino a quella attuale del mondo globalizzato.

Ed ecco come viene descritto il testo: “Nell’aprile del 1621 a Selamon, un villaggio nell’arcipelago delle Banda, una spruzzata di minuscole isole perse tra l’Oceano Indiano e il Pacifico, un banale incidente - una lampada schiantatasi al suolo nella bale-bale, la sala riunioni requisita per sé e per i suoi da Martijn Sonck, funzionario olandese della Compagnia delle Indie orientali - innescò uno dei crimini più efferati che la storia del colonialismo ricordi. Sonck aveva ricevuto l’ordine di distruggere il villaggio ed eliminare i suoi abitanti. Aveva, però, i nervi a fior di pelle poiché aveva percepito nell’apparente acquiescenza dei nativi un rabbioso fermento. Quando la lampada cadde, il suo nervosismo si mutò in panico. Lui e i suoi consiglieri afferrarono le armi e cominciarono a sparare a casaccioI bandanesi, abitanti dell’unico luogo del pianeta dove cresce l’albero della noce moscata, una delle spezie di cui le grandi potenze coloniali si contendevano il mono - polio commerciale, furono massacrati, annientati senza pietà. Nelle pagine di Amitav Ghosh, questa feroce storia di conquista e sfruttamento – dell’uomo sull’uomo e dell’uomo sulla natura – assurge a parabola della furia devastatrice del colonialismo occidentale e delle sue irreversibili conseguenze fino ai giorni nostri. Come in tante situazioni analoghe, il genocidio dei bandanesi cancellò dalla faccia della terra anche la loro tradizione di armonioso connubio con la natura.

Se oggi il nostro futuro come specie è in pericolo, avverte Ghosh, le cause vanno ricercate a partire dalla scoperta del Nuovo Mondo e dall’apertura delle rotte attraverso l’Oceano Indiano. L’odierna crisi climatica, demografica e sociale non è, infatti, estranea all’ordine geopolitico inaugurato dai colonizzatori del Primo mondo, alla visione meccanicistica delle terre di conquista in cui la natura esiste solo in quanto risorsa da sfruttare e non come entità viva, autonoma e densa di significato; all’assoggettamento indiscriminato di «umani selvaggi» e di «non umani» come alberi, animali, paesaggi. Nella potente narrazione di Ghosh, i drammi del nostro presente globalizzato – migrazioni, siccità, pandemia, guerre, emergenza energetica – si ricongiungono così a episodi soltanto temporalmente remoti, in realtà cosí affini nella loro furia devastatrice che la maledizione della noce moscata non è affatto lontana da noi”.

In effetti la storia delle isole Banda viene utilizzata dall’autore come un esempio dei modelli distruttivi del colonialismo che purtroppo non sono stati mai abbandonati e sono presenti ancor oggi nelle strategie politico-economiche globalizzate che stanno devastando il nostro meraviglioso pianeta. Citando scrittori e filosofi provenienti da culture diverse ed epoche differenti, l’autore piega come l’imperialismo coloniale abbia preceduto il “capitalismo stesso che è solo un suo effetto”. Secondo lui le odierne disuguaglianze, in particolare quelle geopolitiche, sono simili a quelle già esistenti nel XVII secolo e momento chiave che segnò l’inizio di tutto ciò è stato quello della conquista delle Americhe, con un uso impressionante della violenza che portò alla soppressione di circa 90 milioni di persone. Anche il riscaldamento globale per Ghosh è la conseguenza dell’uso degli stessi modelli del passato. Ad esempio una caratteristica dominante del colonialismo si potrebbe chiamare “violenza per omissione”: permettere alle malattie di fare strage o agli interventi sull’ambiente di provocare disastri. Parimenti i conquistadores diffusero malattie che sterminarono le civiltà americane. E di carattere politico è anche il potere sull’energia che diventò il perno della geopolitica globale alla fine del XVIII secolo, quando i combustibili fossili per gli inglesi divennero essenziali per le loro strategie imperiali e, a differenza dell’energia dei mulini, essi potevano essere portati ovunque e controllati.

I modelli usati in passato e indicati nel libro sono rintracciabili ancor oggi: la guerra Russia-Ucraina centrata sull’energia, evidenzia che l’energia stessa diventa un’arma di guerra da entrambe le parti. Se le rinnovabili fossero in uso su larga scala, il gas russo e quello Usa conterebbero poco. Mentre in Occidente poi si crede che la riduzione dell’uso del carbonio necessiti di soluzioni tecniche, i paesi poveri non accettano l’idea di far qualcosa in proposito, poiché se i paesi occidentali sono diventati ricchi spadroneggiando con tali sistemi, ora tocca a loro la soluzione del problema. L’Occidente, dunque, dovrà ridurre le emissioni cambiando stile di vita e se ciò non accadrà qui, non accadrà da nessun’altra parte, per cui la devastazione del pianeta Terra sarà inevitabile. Secondo Ghosh c’è una lezione che dobbiamo imparare da queste esperienze mondiali: “le megacrisi richiedono una risposta collettiva” (Da intervista su: https://www.corriere.it/pianeta2030... ).

Amitav Ghosh è nato a Calcutta nel 1956.Figlio di un diplomatico, è cresciuto tra Bangladesh, Sri Lanka, Iran e India. Ha frequentato la Doon School di Dehradun e poi il St Steven’s College di Delhi, conseguendo il BA in storia e poi l’MA in antropologia sociale. Dopo la laurea ha proseguito gli studi a Oxford. Tornato a Delhi, ha lavorato come giornalista e antropologo prima di trasferirsi negli USA dove ha insegnato scrittura creativa alla Columbia University di New York. Nel 2018 ha ricevuto in India l’importante Premio Jnanpith. Tra le sue opere principali ricordiamo “The shadow lines” sul rapporto tra la sua famiglia e una famiglia inglese, “In an antique land” su Egitto e India dal medioevo fino alle guerre contemporanee, “The Calcutta chromosome”, viaggio nell’universo mediatico tra scienza, filosofia e fantascienza, “Countdown” (1999),contro gli esperimenti nucleari effettuati in India e in Pakistan nel 1998. Tra gli ultimi lavori ricordiamo “The Imam and the Indian”, raccolta di saggi, commenti politici, recensioni; T”he hungry tide”, romanzo sullo scontro fra ambiente e civiltà;” Incendiary circumstances”; “The sea of poppies”, primo romanzo di una trilogia dedicata alla nascita dell’India moderna, cui hanno fatto seguito “River of smoke e Flood of fire”; Tra le opere più recenti: i romanzi “Gun Island” e “Jungle Nama”, i saggi “The great derangement” . Le opere più importanti sono state tradotte in italiano e pubblicate soprattutto da Neri Pozza.

Giovanna D’Arbitrio