Anche se pubblicato 15 anni or sono, ho letto Niccolò Machiavelli di Armando Verdiglione solo recentemente a seguito di gentile omaggio dell’editrice Spirali-Vel e sono quindi lieto ora di riferirne ai nostri lettori.
È un libro di grande rilievo culturale, non solo per la rivisitazione precisa del Segretario fiorentino ma per l’insieme di considerazioni che l’autore prospetta attorno ai temi filosofici e storici di ininterrotta attualità. Risaltano così quei caratteri prevalentemente “sperimentali” della scrittura del testo insigne insieme alle valutazioni che Verdiglione ne trae ai giorni nostri. I momenti più vivi nel richiamare la profondità dello studio storico cinquecentesco sono quelli concernenti l’Italia e la sua “disunione” nelle “province divise”, il realismo della visione storica, il peso della proibizioni imposte ai cittadini, l’arte di penetrare nel senso intimo di ossimori e paradossi, la spiegazione delle “ruine” di regni potenti “e mai satolli”. E tutto ciò è giudicato – osserva l’A. – da Machiavelli con spirito critico e motti di spirito. Il cielo e l’inferno della politica – tra violenze, rapine, congiure e finzioni – appaiono nel loro crudo svolgere.
- Niccolo Machiavelli
- di Cristofano dell’Altissimo Uffizi
“Chi toglie la libertà si presenta liberatore. Chi s’impadronisce dello Stato promette una società senza Stato. Chi impone un nuovo ordine sociale e politico promette la città futura senza la crisi”. Ebbene: cinque secoli – e soprattutto l’ultimo – a conferma sconcertante del pessimismo machiavellico.
La contraddizione dei fatti d’altronde parlano da sé, e gli animali politici non mutano comportamenti dai tempi di Aristotile. E Verdiglione nota amaramente come la mitologia politica si fondi in Italia sulla “non lettura” del “principe”, anche se molti se ne servono e ne danno i punti di vista, svianti, ideologici. Vengono ripercorsi tanti scrittori che di quel testo si sono fatti pretenziosi interpreti. Non sbagliati appaiono in proposito le opinioni di Mao e di Trotzski che lo considerano “grande pensatore” per il quale “non esistono problemi di moralità,come non esistono per il giocatore di scacchi o per il contabile”.
E a questo punto si potrebbe osservare come l’anatomia della politica induca a ritener impossibili le previsioni, naturale la corruttela dei potenti, meramente suggestivi i travestimenti della illegalità in legalità. Al preteso “bene comune” si sostituisce il privilegio di casta, la facoltà di mentire, il rovesciamento in tirannia dell’atteso liberatore, con una originale conclusione d’attualità: il “compromesso consociativo” nella definizione nazional-popolare di Mussolini come di Gramsci. Lo “Stato” diviene necessariamente potere della forza, al di là della coscienza di chi governa, lo Stato che si fa “brigante”, lo Stato come “l’altro”.
- Armando Vermiglione
Citazioni continue nel rilievo dell’inversione come caratteristica dell’arte della politica, la politica che tutto codifica e tutto penalizza: la politica al posto dell’etica. Così la prosa machiavellica si fa analisi e ironia nello stesso tempo nella “tentazione” della fortuna che non sempre si traduce in “virtù”, anzi prevale l’opposto esito.
Ecco allora che il lettore rinuncia ad orizzonti idilliaci nei quali voleva sperare, cerca di farsi prudente nell’osservare vizi e glorie. Quando M. scriveva a Guicciardini che “niuna città assai grande è mai forte, perché nella grandezza possono nascere molti disordini” e invitava a servirsi della “diplomazia”: la storia indica quanto si sia fatto poco uso dei suggerimenti di cotanto genio.
A Verdiglione il merito di aver consentito una rilettura critica – tutt’altro che priva di influenze psicoanalitiche – tra storie vere e favole, e proprio dalle favole come “Mandragola” abbiamo ancora molto da imparare.