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LA CALDARA DI MANZIANA

UN’AREA LAZIALE DI GRANDE INTERESSE NATURALISTICO
mercoledì 8 luglio 2020 di Nica Fiori

Argomenti: Natura


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Vi sono dei luoghi di grande interesse scientifico e naturalistico che, per il loro aspetto misterioso, hanno sempre esercitato un fascino tutto particolare, tanto che alchimisti e stregoni, sacerdoti e guaritori, poeti e avventurieri - e dal Novecento in poi anche registi cinematografici - li hanno eletti a scenario delle loro gesta, quasi fossero una materializzazione delle loro fantasie più ardite.

La Caldara di Manziana non è certo nota come la Solfatara di Pozzuoli, ma è per il Lazio uno dei principali siti di interesse geologico: un “monumento naturale” gestito dal Parco di Bracciano e Martignano, che si estende per circa 90 ettari, a 260 m di altitudine.

Manziana è un paese della provincia di Roma, situato lungo la via Claudia Braccianese, il cui territorio è in gran parte occupato dalla cosiddetta Macchia Grande, un raro esempio di ambiente di alberi d’alto fusto, ultima testimonianza dell’antica “Sylva Mantiana” che si estendeva una volta sui monti Sabatini, Ceriti e della Tolfa fino al mare Tirreno. Proprio la vegetazione abbondante, soprattutto cerri, ontani, castagni e arbusti vari ha favorito la vocazione turistica di Manziana, scelta in passato per i suoi soggiorni estivi anche da re Gustavo Adolfo di Svezia, grande appassionato di archeologia.

Il bosco, che ha una superficie di 530 ettari, ricopre un pianoro prodottosi con l’accumulo di materiale eruttivo generato dal vulcano Sabatino in epoca pleistocenica (500.000 anni fa). L’attività vulcanica ha portato pure alla formazione di polle d’acqua calda con emissione di gas sulfurei e alla solfatara: ancora oggi si possono notare i cumuli del materiale residuo della lavorazione dello zolfo e le infrastrutture della miniera ormai abbandonata. Proseguendo lungo la “via dello zolfo” si raggiunge la “caldara”, una conca di circa 7 km di perimetro, residuo di un cratere dell’antico vulcano. La zona è paludosa e nei periodi piovosi la pressione dei gas provenienti dal sottosuolo fa ribollire l’acqua, favorendo la formazione di piccoli geyser.

Ma, dove c’è lo zolfo, si dice ci sia il diavolo. Lo stesso nome di Manziana potrebbe derivare da quello di una divinità infernale, l’etrusco Manth. Una strada romana fatta di ciottoli lavici, la “Selciatella”, dalla Macchia giunge, tanto per rimanere nel tema, fino al “Ponte del Diavolo”, che conserva ancora l’originaria struttura etrusca. Una passeggiata serale nella caldara potrebbe riservare delle sorprese: si potrebbero avvertire strane presenze e udire tra le fronde degli alberi i sussurri della Ninfa Albunea o Albula, che era solita percorrere questi luoghi al tramonto del sole. Secondo un’interpretazione di alcuni versi fantastici di Virgilio in quest’ambiente mefitico, avvolto di vapori e di ombre, il mitico re Latino veniva a chiedere responsi alle divinità del Lazio primordiale. Più tardi gli addetti al culto della dea Bona vi si recavano a prendere lo zolfo che serviva per i loro riti misterici, mentre i soldati romani, timorosi di aver contratto malattie in terre lontane, vi venivano per purificarsi. Le virtù terapeutiche e magiche della contrada erano in effetti note a tutti nell’antichità, come si può dedurre dalla presenza di bagni e terme nelle vicinanze, delle quali rimane il ricordo nelle celebri “Aquae Apollinares” (da identificare con quelle delle Terme di Stigliano).

Lo zolfo del luogo fu apprezzato anche in età moderna da numerosi alchimisti, che lo usavano per i loro esperimenti. Fra questi Francesco Borri (1627-1695), l’unico che fosse riuscito, secondo quanto si diceva, a fabbricare l’oro, nascose qui il suo segreto, prima di essere incarcerato per eresia; ma forse le formule da lui adottate per la trasmutazione dei metalli vili in oro sono quelle celate nelle enigmatiche incisioni della Porta Magica, nel giardino di piazza Vittorio, a Roma. Pure il conte di Cagliostro, il più celebre mago e avventuriero del XVIII secolo, frequentò il luogo e utilizzò lo zolfo di Manziana, la cui commercializzazione era stata avviata in Europa, a partire dal Cinquecento, dai cosiddetti Capannari, fuorusciti senesi e fiorentini insediatisi nella Macchia dopo la fine delle loro repubbliche.

Una leggenda assai suggestiva riguarda le betulle che stranamente circondano il pianoro, sito ad un’altitudine troppo bassa per questo tipo di albero: esse ospiterebbero le anime dei guerrieri caduti in battaglia. Come non pensare a questo proposito al personaggio di Polidoro nell’Eneide di Virgilio e al Pier delle Vigne dell’Inferno dantesco, che pure sono racchiusi entro una prigione arborea?

Trattandosi di un luogo interessante anche dal punto di vista faunistico, non mancano le leggende su alcuni animali. Ogni dieci anni una miriade di porcospini si darebbe qui appuntamento per una danza propiziatoria, mentre un altro animale, la civetta, annuncerebbe nelle notti buie buoni raccolti: una presenza positiva, quindi, e non nefasta (a dispetto del canto decisamente lugubre del rapace), da connettersi probabilmente con le virtù augurali e taumaturgiche del sito. Basti pensare che nel passato molti uomini d’armi vi venivano per chiedere protezione agli spiriti del luogo, mentre i malati guariti depositavano nelle sue acque numerosi ex-voto.

Il “Monumento Naturale Regionale Caldara di Manziana” è stato attrezzato in modo da poter essere fruibile anche dai ciechi, grazie a pannelli tattili con scritte in Braille e alla creazione di un “sentiero natura”. Si tratta del primo sentiero di questo genere nel Lazio: è caratterizzato da una forma circolare e da 9 postazioni o punti di sosta per guidare il visitatore alla scoperta degli aspetti naturalistici dell’area protetta. Giustamente sono indicate le distanze tra le varie stazioni tattili e tutto il percorso è di 1500 m circa. Il non vedente è coinvolto grazie a un linguaggio accattivante, che lo invita a godersi il paesaggio e a percepire la natura con i propri sensi. Per esempio nella postazione dedicata al cerro monumentale, alto 22 m, viene spinto ad abbracciare il tronco, che ha una circonferenza di 278 cm, e a tastarne la superficie rugosa.

Più difficile sicuramente è la comprensione degli aspetti geologici dell’area, perché avvicinarsi ai geyser potrebbe essere pericoloso, ma l’olfatto aiuta a sentire l’odore dell’anidride solforosa e un plastico in scala 1:800 spiega la stratigrafia costituita da vulcaniti, sedimenti pleistocenici, rocce carbonatiche e basamento cristallino.

 

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