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Istanbul. Santa Sofia

ISTANBUL

Già chiamata Costantinopoli e Bisanzio, la metropoli turca conserva un fascino legato ai suoi tesori d’arte e alla posizione unica su due continenti
giovedì 1 novembre 2018 di Nica Fiori

Argomenti: Luoghi, viaggi


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Istanbul è quello che cercavo. Sono arrivata da una settimana e già mi ruba il fiato e il sonno. Quanto tempo sprecato prima di raggiungerla. Ho la sensazione che mi stesse aspettando, silenziosa, mentre correvo dietro a una vita tanto faticosa quanto inutile. Qui le cose scorrono più lente e morbide; questo vento leggero scioglie tutti i pensieri e fa vibrare il corpo. Adesso finalmente sento di poter ricominciare’.

Queste parole, dal film ’Il bagno turco. Hamam’ di Ferzan Ozpetek, rendono meglio di quanto potrei fare io quella sensazione di sottile malia, di calda sensualità, di emozionante bellezza che una città come questa provoca nei visitatori. Ci sono delle cose che una persona dovrebbe vedere almeno una volta nella vita: tra queste sicuramente il tramonto su Istanbul, l’unica città sorta su due continenti, separati da quel luccicante stretto del Bosforo dove il mare s’incunea profondamente formando il Corno d’oro. Una città dove la Sapienza (Sofia) è chiamata tuttora ’santa’: forse perché qui sono di casa tanti tesori d’arte che in qualche modo hanno a che fare con la Sapienza divina.

Si racconta che la città sia stata fondata dal navigatore greco Byzas che approdò, guidato dall’oracolo di Delfi, sul lato europeo del Bosforo nel VII secolo a.C. Dopo che l’imperatore romano Costantino, nel 324 d.C., si trasferì a Bisanzio, la città con il nuovo nome di Costantinopoli divenne la capitale dell’impero ed uno dei crocevia della storia: di là passarono veneziani e genovesi, crociati e infedeli. Nonostante l’abilità della sua diplomazia, però, davanti all’avanzata araba, serba ed infine ottomana l’Impero subì progressive mutilazioni, alternate a brevi periodi di riscossa, fino alla conquista veneziana prima (1204) e a quella definitiva di Mehmet II il Conquistatore (1453). In quell’occasione il sultano concesse alle sue truppe di ridurre in schiavitù 30.000 cristiani.

I turchi definivano il dominio del mondo con una metafora: la Mela Rossa. Fino al 1453 in questo modo veniva chiamato il globo sorretto dalla mano della gigantesca statua di Giustiniano posta di fronte a Santa Sofia. Quando la statua fu abbattuta, la Mela Rossa simboleggiò la nuova meta dell’Impero ottomano, la città di Roma prima e in seguito quella Vienna, capitale asburgica, che per due volte i sultani furono a un passo dal conquistare.

Il 13 ottobre 1923 l’Assemblea nazionale stabilì che Ankara dovesse essere la capitale del nuovo stato turco e Mustafà Kemàl Atatūrk dichiarò: ’La Repubblica umanizzerà Bisanzio, una città che, essendosi abituata al sudiciume, alla doppiezza, alla menzogna e all’immoralità, ha perso il suo stato di natura, la sua bellezza originale e il suo valore incommensurabile’. Il disamore di Atatūrk verso l’antica capitale, che giudicava troppo cosmopolita, provocò la decadenza di Istanbul che tuttavia rimase il centro commerciale e turistico del paese, uno scrigno di tesori accumulati in tanti secoli di storia.

Gran parte del fascino della città è legato alle sue architetture islamiche, screziate di maioliche, frastagliate da cupole e minareti aguzzi, in parte asserragliate nel complesso intrico del suo ’Serraglio’, il celebre Topkapi, i cui tesori superano ogni immaginazione. Ma anche i monumenti del periodo romano (tra cui l’ippodromo, che conserva due obelischi e la colonna serpentina in bronzo che si trovava a Delfi) e soprattutto di quello bizantino ci lasciano di stucco, come la sotterranea Cisterna Basilica, con una quantità impressionante di colonne che si riflettono nell’acqua, due delle quali poggiano su gigantesche teste di Gorgone rovesciate.

L’edificio bizantino più celebre è la basilica di Santa Sofia, poi trasformata in moschea e attualmente in museo. Il maestoso interno conserva l’originario impianto basilicale ancora intatto e parte dei mosaici, coperti all’epoca di Solimano per il divieto di rappresentare figure umane in edifici religiosi e riportati alla luce nel XX secolo. Si dice che quando l’imperatore Giustiniano inaugurò la Hagia Sofia nel dicembre del 537, travolto da tanta grandiosità e splendore, avesse esclamato: ’Salomone, io ti ho superato’. La chiesa sulla prima collina della città doveva incarnare la fede e il potere del centro del mondo. La cupola venne eretta sotto la direzione sapiente degli architetti Antemio di Tralles e Isidoro di Mileto. Nonostante i suoi quasi 56 metri di altezza e i 32 di diametro diffonde una sensazione di leggerezza così impressionante che a quei tempi lo storico Procopio la descriveva come ’appesa ad una catena d’oro del cielo’.

La carriera di Sinan, il più grande architetto islamico, contemporaneo del nostro Michelangelo, fu guidata proprio dalla presenza monumentale di Hagia Sofia. Era stato lui a restaurare la grande basilica a cupola, costruita mille anni prima e nel desiderio di emulare i Greci egli riprese quello schema architettonico per portarlo a soluzioni sempre più ardite in una serie di capolavori. Egli, che era nato in Armenia da genitori cristiani, conosceva bene sia i monumenti cristiani che quelli musulmani, grazie anche ai numerosi viaggi che aveva compiuto da soldato. Nella progettazione delle sue moschee (ne realizzò ottantuno, oltre a scuole coraniche e altri edifici) doveva tenere conto naturalmente delle esigenze della liturgia. Ricordiamo che nelle moschee non vi sono altari. Il mihrab, la nicchia della preghiera rituale, serve solo a indicare la direzione della Mecca.

Tutta l’attenzione di Sinan viene quindi rivolta alla cupola, la cui statica sembra quasi sfuggire alla legge di gravità. Gli elementi che la sostengono e quelli che essa sostiene s’inseriscono senza sforzo l’uno nell’altro: tutto sembra innalzato e sospeso in un equilibrio miracoloso. Nulla doveva turbare per lui l’unità assoluta dello spazio, tutto doveva essere in vista e visibile da ogni angolo di osservazione. La più bella tra le moschee che ha eretto a Istanbul è quella del Sultano Solimano (1550-57), che si erge con i suoi quattro minareti in posizione dominante sul Corno d’Oro. È la più grande della città e accoglie intorno a sé numerosi edifici di contorno, tra cui i mausolei di Solimano e della moglie prediletta Roxelana, rivestiti da maioliche di squisita fattura.

Le concezioni di Sinan furono copiate per secoli, ma in molti degli edifici successivi le proporzioni risultarono meno perfette che nell’originale. Nella moschea del Sultano Ahmed (1609), costruita da un suo allievo, i pilastri che sostengono la cupola sono un po’ pesanti, sebbene all’esterno i sei alti minareti le conferiscano una leggerezza e una delicatezza veramente notevoli, mentre le mattonelle che ornano le pareti interne le hanno attribuito il nome con cui attualmente è conosciuta: quello di ’Moschea Blu’.

Mentre gli edifici religiosi si lasciano ammirare soprattutto per le linee architettoniche, il celebre palazzo Topkapi ha una fama legata anche alle pietre preziose e agli incredibili gioielli creati per i sultani da orafi raffinatissimi. Il brillante più grande è di 82 carati, ma c’è pure uno smeraldo che pesa due chili e settecento grammi. I servizi di piatti cinesi del XVI e XVII secolo, riservati alla tavola del sultano, vantano cinquemila pezzi. Questi ultimi sono conservati in quelle che erano le cucine della dimora imperiale, opera pure di Sinan. Numerosi cortili, padiglioni, terrazzi panoramici, giardini ed edifici fanno parte di questo incredibile complesso che è il Serraglio. L’harem, in particolare, è una sorta di labirinto di quattrocento locali che accoglieva le mogli e le numerose concubine del sultano. Molte donne occidentali, convinte che la donna in questo paese fosse solo una schiava, hanno vacillato nel loro credo davanti a questo splendido luogo di delizie.

Al di fuori di questa città nella città, comprendente anche l’interessante Museo archeologico e la chiesa bizantina di Sant’Irene, situata nel cortile più esterno del complesso di Topkapi, Istanbul pulsa di vita. Nel dedalo dei vicoli coperti del Gran Bazar, nelle strade dove sono state ristrutturate le case di legno ottomane, sul ponte di Galata, nei quartieri più vecchi della parte europea un aroma di spiedini di montone e di panini al sesamo colpisce le nostre narici, mentre una musica cantilenante ci accompagna di giorno e di notte, insieme a quel gran vociare di un’umanità da sempre disposta alla conversazione e alla trattativa commerciale, alla preghiera come al piacere rilassante dei bagni turchi, profumati e confidenziali.

P.S.

Foto di Francesca Licordari


 

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