Sia come sia, questo bambino si costruì un aquilone, e tutto felice lo vide alzare molto in alto. Allora imparò a farlo volteggiare,a fargli fare acrobazie spericolate, e poi si stufò.
Si mise allora a rimuginare cosa potesse farci. E pensa che ti ripensa, gli venne un’idea brillante. Prese altri due gomitoli di quel cordoncino che sembrava d’argento e li giuntò a quello che già c’era. Prese una matita, e scrisse sull’aquilone c’è qualcuno ? Dopo di che lo mandò fino alle nuvole.
Naturalmente attese un lasso ragionevole di tempo, e poi piano piano lo fece ridiscendere. Eureka ! Dall’altra parte dell’aquilone c’era scritto: “sì”.
Siccome però s’era fatto tardi, il bambino rientrò a casa, cancellò le due scritte e si ripromise di tornare alla spiaggia il giorno dopo.
L’indomani rispedì l’aquilone, con su scritto come ti chiami ?
_Risposta: “Giove”.
E così cominciò una lunga ed assidua corrispondenza, che presto divenne una vera e propria amicizia. Tutti i pomeriggi nei quali poteva, il bambino andava sulla spiaggia e mandava l’aquilone col suo cordoncino d’argento.
Si facevano anche delle confidenze. Un paio di volte Giove confessò “sono stato poco bene”.
Parecchie volte il bambino riconobbe: sono rimasto chiuso in castigo. Si trovavano d’accordo su molte cose fondamentali, tipo “gli umani sono cretini” e gli adulti sono bestie e così via.
Gli unici inconvenienti erano innanzi tutto che lo spazio per scrivere risultava poco, quindi i messaggi restavano per forza brevi ed, inoltre, per mandare e ritirare l’aquilone ci voleva molto tempo per cui si poteva fare solo uno scambio alla volta. E così passò qualche anno. Un bel giorno il ragazzo scrisse: mi sento solo. Risposta: “che vorresti ?”
E l’indomani: salire da te. Risposta: “purtroppo non puoi da vivo”.
Il giorno dopo: allora scendi tu. Risposta: “Spiacente, sono troppo vecchio per viaggiare”. Il ragazzo rimase perplesso e se ne andò a casa rimuginando.
Il pomeriggio successivo attaccò alla corda dell’aquilone un biglietto nella speranza che il vento non lo strappasse, con su scritto: senza offesa, visto che io non posso salire e tu non puoi scendere, allora manda giù Venere. Attese il lasso di tempo ragionevole e poi piano piano ritirò, facendo attenzione come sempre che non finisse tutto in mare.
Il biglietto non c’era più, ma non c’era nemmeno la risposta. Di scatto prese a calci la spugna sul bagnasciuga, poi gli venne da piangere, di rabbia e di dolore. Aveva offeso inutilmente il suo unico e vero amico… Gli si appannò la vista per le lacrime, che non volevano uscire, ma non volevano rientrare.
A quel punto, fra la nebbia umida e tremolante delle lacrime trattenute, vide venirgli incontro una deliziosa ragazza, tutta gocciolante che gli sorrideva un po’ ironica e un po’ invaghita, bella, intelligente come una dea…