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LE RAGIONI DEL BUDDHA

La “cura” del Buddha per i mali dell’Occidente
mercoledì 29 maggio 2019 di Andrea Comincini

Argomenti: Recensioni Libri


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In Asia centrale sulle tracce del buddhismo “d’Occidente”, di Diego Infante, Meltemi linee, 2018 Un saggio su come emanciparsi dal malsano dualismo eurocentrico. E non solo…

La storia dell’Occidente è inevitabilmente storia di paradigmi etici, politici, filosofici e religiosi, spesso accomunati da un elemento in comune, la divisione fra io e mondo. Tale presupposto implica due fattori: un Soggetto, giudicante e giudicato, e una realtà esterna – manipolabile e “antagonista”.

Con una tradizione simile non c’è da sorprendersi se quella che Nietzsche chiamò Volontà di potenza si sia concretizzata sovente nella brama di dominio del singolo sul mondo quando assoggetta, incasella, comanda e seziona le forme intorno a sé. Che la storia dell’Europa risulti legata a doppio filo a quella del colonialismo o a un logos autocrate, fallocrate e antiecologista appare altrettanto indiscutibile.

L’uomo occidentale, nonostante i proclami etici, l’idea della responsabilità individuale – assurta ad altissimo livello giuridico con Hegel e il cristianesimo luterano – contiene anche il germe dell’autodistruzione, della nevrosi, della mancanza di rispetto altrui. Effetti collaterali casuali o implicite manifestazioni di un vulnus esistenziale, dovuto appunto a una frattura duale?

Diego Infante, nel suo intenso e poliedrico Le ragioni del Buddha, sviluppa un percorso investigativo di alto spessore teoretico e pratico per offrire alcune risposte al quesito e spazzare via inveterati cliché.

Il lavoro va innanzitutto apprezzato perché nella miriade di testi disponibili nelle librerie sul buddhismo non si perde in luoghi comuni o semplicistiche soluzioni usa e getta sul Buddha, ma ne offre una ricostruzione seria e puntuale; secondariamente, per la capacità di risolvere, si diceva, certe radicate falsità imputanti al pensiero orientale d’essere una pratica religiosa devota all’indifferenza, alla fuga, nettamente inferiore alla cura dell’individuo come in Occidente, o addirittura di netta subalternità alla metafisica nostrana per spessore speculativo.

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Foto boroboudur

Dialogando con scrittori e pensatori di massimo livello (Magno, Pasqualotto, Germani, Giametta, Cioran, Mishra, ecc.) l’autore mostra chiaramente che a una mente libera dal pregiudizio non può apparire incontrovertibile quanto l’approccio buddhista sia efficace non solo a vivere nel mondo ma a stare con sé stessi in armonia e fiducia. L’ossessione per l’identità e per il destino della propria anima ha certamente prodotto lodevoli e apprezzabili risultati per l’europeo, ma questi sembrano svanire troppo facilmente allorquando si perde di vista l’impermanenza della vita, e la non dualità del tutto.

Il punto centrale del messaggio dell’Illuminato mostra la misura in cui l’ego personale risenta della tradizione: poco educati a viverci-in-relazione, a dimenticare l’inesistenza di un sé permanente né una fissità eterna delle sostanze, ci troviamo a esistere tra nevrosi e paure – e a essere troppo violenti. Cosa sono la rabbia, la delusione o la tristezza infatti se non le conseguenze per qualcosa non andata come avrebbe dovuto essere, cioè la palese negazione delle nostre aspettative?

Reazione normale, si dirà. Ma ne siamo sicuri?

Pretendere una vita addomesticata secondo i nostri piani implica una scissione tra Soggetto e Oggetto volta a negarne l’interconnessione reciproca, provocando appunto l’incapacità di capire che ogni aspettativa o delusione provengono dal desiderio inconscio di controllare l’esistenza, e manipolarla a proprio piacimento.

L’esercizio chiestoci è “scandaloso”: affermare l’Essere non è. Contro una tradizione millenaria nata con Parmenide e giunta fino a Severino, il buddhismo ci prega di accogliere il divenire, per comprendere la coappartenenza, e non la contrapposizione, di bene e male. La nascita della coscienza, contrabbandata per il luogo più nobile dove possono affermarsi i valori etici della vita, può infatti diventare una famigerata crime scene, il luogo del delitto nel quale, arroccati dentro il proprio Ego, escludiamo una reale partecipazione al mondo esterno e di conseguenza ne diventiamo manipolatori, scardinando i presunti sentimenti etici tanto sostenuti e sbandierati.

Se si cominciasse a vivere la propria id-entità alla maniera di una funzione e non di una sostanza, forse il destino dell’umanità avrebbe maggiori speranze. Perché di questo si tratta. Infante, da vero conoscitore del buddhismo, sa e vuole indicarci – oltre alle numerose pagine su filosofia e architettura (bellissimi i resoconti sull’arte asiatica) – che il tema centrale non è adottare una nuova religione più comoda ai nostri ritmi consumistici, né accogliere solo con la ragione il contenuto del libro, ma sentire nel profondo come ogni nobile verità sia innanzitutto praxis, e per noi contemporanei tale esortazione vuole dire rispetto per l’ecosistema, e per ogni creatura.

Superato il dualismo, viaggiando “al di là del bene e del male”, spazio non può esserci per una mente torbida, ma per un essere umano ecologico, limpido e di sicuro meno bipolare.

Un libro da leggere, e da approfondire con quella pazienza orientale che l’occidente dovrebbe accogliere con maggiore rispetto. Dice Jung: “La saggezza e la mistica d’Oriente hanno molto da dirci, anche se parlano una lingua per noi inimitabile. Ci ricordano ciò che abbiamo dimenticato, cioè il destino del nostro uomo interiore”.

 

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