Inizia tutto con una cena decisa all’ultimo momento tra sorelle. Nel frigo non c’è praticamente nulla e di uscire a far la spesa non ho proprio voglia. Decido di improvvisare con quello che c’è: ho gli ingredienti per una frittata di zucchine e cipolle rosse di tropea. “Benissimo!” mi dico, e mentre mia sorella chiacchiera senza sosta, inizio a sbucciare le cipolle.
Prima di iniziare a tagliarle mi sfilo l’anello che appoggio sul tavolo da lavoro come faccio sempre prima di cucinare. Chissà perché mi sono messa in testa che esista una ragionevole possibilità di perdere i brillanti incastonati sotto l’acqua corrente.
Le cipolle nella retina non sembrano proprio freschissime. Ne seleziono un paio, le più belle, almeno a guardare la loro buccia e, senza starci troppo a pensare, butto le altre rimaste nel sacchetto.
La frittata viene bene e mia sorella sazia e appagata, se ne va poco dopo.
La notte sembra essere sempre troppo breve quando suona la sveglia. Sono le 6.50 del mattino. Mi alzo per prima per preparare la colazione come ogni mattina e, come ogni mattina, mio figlio esce di casa prima di me per andare a scuola.
Poco prima di uscire gli chiedo di buttare la spazzatura ... quelle cipolle maleodoranti voglio proprio che escano di casa.
Giornata piena quella di oggi.
È quasi l’una e devo uscire per delle commissioni. Cerco l’anello sul tavolo dove l’ho lasciato la sera prima, ma non lo trovo. Sono metodica perciò sono abbastanza certa di dove metto le cose ma ultimamente dimentico e questa condizione fa vacillare le mie certezze.
Torno indietro col pensiero al momento in cui l’ho sfilato ... me lo ricordo bene, ma poi? Il buio totale.
Sto facendo tardi a cercarlo e più i minuti passano più mi rassegno alla peggiore delle ipotesi: la spazzatura. Mi convinco che sia finito nella spazzatura che mio figlio ha buttato la mattina andando a scuola. Dove però?
Lo chiamo al telefono ma non risponde. Prendo il bastone appendiabiti dall’armadio e scendo frettolosamente di casa nel disperato tentativo di recuperare il sacchetto nel cassonetto sotto casa sperando di trovarlo proprio lì.
Che disagio smuovere la spazzatura di chiunque nel cassonetto e accorgersi di catturare l’attenzione dei passanti. Il cassonetto è troppo profondo e pieno di rifiuti. Mi arrendo. Non sono in grado di farcela da sola. Telefono al servizio ChiamaRoma.
Lo faccio più volte perché gli operatori che mi mettono in collegamento con l’AMA non mi collegano al numero del servizio di assistenza di cui ho bisogno.
Sono le 14,30 intanto e dall’altra parte della strada vedo mio figlio arrivare davanti al portone di casa. Urlo il suo nome nel caos del traffico. Si volta e gli faccio cenno di raggiungermi. Gli chiedo dove abbia buttato la spazzatura e quando mi dice dove, sono presa dallo sconforto. Si può camminare per 600 mt con la spazzatura prima di buttarla via quando appena sotto casa è presente un cassonetto?
Pare di si e ormai sto pensando che sia impossibile ritrovare il mio anello.
Gli chiedo di accompagnarmi al cassonetto. Ci rovisto dentro con il bastone che si rompe sotto il peso del pattume ma c’è troppo schifo e troppa roba per poter identificare il mio piccolo e prezioso sacchetto.
Ho voglia di piangere. Torniamo a casa.
"Pensa ad una soluzione, non arrenderti! È lì, non puoi mollare così".
Animata da questi pensieri decido di tornarci. Prendo svariati guanti di lattice e torno lì. Chiamo di nuovo l’AMA. Finalmente la voce di una operatrice. Le spiego del mio problema e lei mi chiede di rimanere in attesa. Temo cada la linea come spesso accade. Non stavolta però. Pochissimi minuti dopo si ricollega e mi avvisa di non muovermi perché una squadra di operatori ecologici mi sta raggiungendo per aiutarmi come sarà possibile.
Li vedo arrivare. I miei eroi in tuta arancione. Sono Arianna e Raffaele e non si risparmiano. Smuovono sacchi pesantissimi, cartoni, rifiuti alimentari esposti, buste mal chiuse insomma schifezze di ogni genere, alla ricerca del sacchetto di cui gli ho dato indicazioni e che dopo circa dieci minuti di nauseanti ricerche riemergerà da quel pattume immondo.
Mi invitano ad aprirlo e rovesciarlo a terra che tanto -dicono loro- ripuliranno subito, ed ecco che tra quelle odiose cipolle, ritroverò il mio anello.
La gioia è più loro che mia. Due persone incredibili. Arianna e Raffaele mi sorridono soddisfatti per aver onorato il loro lavoro. Mi offro di riconoscergli una ricompensa ma la loro integrità morale è sorprendente.
Si dicono ricompensati nel vedermi commossa e felice del ritrovamento. Non voglio lasciarli così, ma loro devono andare. Sono ancora in servizio. Li saluto con un abbraccio e torno a casa. Voglio che all’AMA sappiano di questi due dipendenti e della loro bellezza, perciò telefono alla sede operativa e destino vuole che mi risponderà la stessa operatrice, Laura, che pochi minuti prima si è sinceramente preoccupata di contattare la squadra per l’intervento.
Le racconto del lieto fine ed insieme decidiamo di rendere noto, con un rapporto scritto alla sede centrale AMA, dell’operato di Arianna e Raffaele con tanti complimenti e gratitudine.
Ho voluto raccontare questo breve episodio metropolitano perché diversamente dalle polemiche e dalle critiche cui siamo abituati e che echeggiano chiassose tra noi cittadini, circostanze come quella accaduta a me sono appena bisbigliate o dimenticate.
Questo episodio mi ha restituito molto più valore di quanto mi aspettassi di avere indietro. Al valore di un oggetto prezioso si è aggiunto il valore morale di persone alle quali va tutta la mia considerazione e che oggi con la loro bellezza mi hanno arricchita di rinnovata speranza nel prossimo.
foto: imperiapost.it