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Russofobia. Mille anni di diffidenza (Sandro Teti editore, 2015)

Chi ha paura del gigante russo?

Una esplorazione delle ataviche diffidenze che l’Occidente nutre nei confronti della Russia
sabato 1 ottobre 2016 di Andrea Comincini

Argomenti: Mondo
Argomenti: Politica
Argomenti: Recensioni Libri
Argomenti: Guy Mettan, introduzione di F. Cardini


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’In Europa siamo visti come asiatici, parassiti e schiavi mentre se andiamo in Asia saremo visti come maestri, europei. Chi sono questi russi? (Dostoevskij, Diario di uno scrittore, 1881)’

Perché l’Occidente, davanti al colosso russo, assume un atteggiamento troppe volte diffidente e sfuggente? Siamo di fronte a episodi sporadici nel corso dei secoli, o possiamo rintracciare una vera e propria tendenza fondamentale, che consegna irrimediabilmente la Russia ad un mondo fatto di paure, inquietudini e incomprensioni? Tali interrogativi attraversano la nostra cultura secolare e non raccontano solamente di come guardiamo l’altro, ma anche del modo in cui costruiamo noi stessi, specchiandoci in chi giudichiamo diverso.

Il lavoro di Guy Mettan, giornalista e storico ginevrino, cerca di dare delle risposte ai precedenti interrogativi: se da una parte si vuole capire cosa sia la russofobia e ne venga analizzata – profondamente e accuratamente – la genesi, dall’altro è offerta la possibilità di comprendere gli archetipi psicologici e culturali di una Europa troppe volte abile nell’assolversi dalle proprie colpe, e incredibilmente frettolosa quando deve attribuire agli altri sentimenti negativi e azioni nefaste.

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Guy Mettan

Il lettore potrà pensare che la diffidenza per l’ex Unione Sovietica prenda vita da un terrore sviluppatosi per il comunismo e gli anni della guerra fredda, ma in verità è sotto gli occhi di tutti che oggi, archiviato frettolosamente il socialismo reale, la situazione non è progredita. Con l’ascesa di Putin antichi pregiudizi e solide convinzioni – anche razziste – si sono nuovamente imposte, e così il russo è tornato a essere, casomai non lo fosse mai stato, per l’europeo medio, un uomo dalle maniere sbrigative, dedito all’alcolismo e poco aduso alla democrazia.

Guy Mettan sgombra il campo da fraintendimenti, e dimostra, documenti alla mano, quanto fragili e misere siano certe convinzioni. Il suo, beninteso, non è un giudizio morale: non solo. Si tratta soprattutto di ricostruire la storia della Russia in relazione all’Europa, e mostrare ai lettori l’inconsistenza di certi atteggiamenti discriminatori: da Carlo Magno a Dostoevskij, dalla guerra di Crimea fino alle politiche discriminatorie di Francia, Inghilterra e recentemente Stati Uniti, il giornalista chiarisce che l’errore dell’Occidentale non è solo quello di ignorare la storia, ma persino di riscriverla.

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Putin

Per chi dubitasse, basti l’esempio di Stalin: accusato di ogni nefandezza e crimine possibile, è divenuto simbolo di una terra dove i bambini venivano mangiati e le persone sbattute in Siberia. Ebbene, siamo sicuri che sia davvero questa l’immagine che l’Occidente ha sempre avuto del politico georgiano?

No, ovviamente. Un altro studioso di prestigio, il filosofo Domenico Losurdo, in un libro sullo statista, sostiene indirettamente la tesi di Mettan. Josef Stalin, appare nella copertina del Times del 1943, e molti politici europei, come De Gasperi, lo indicarono ’grande maresciallo, grande condottiero di popoli’ - ad indicare che giudizi e categorie dipendono molto dalle convenienze politiche del momento e vengono stravolti a seconda delle convenienze.

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Cosa significa tutto ciò? Mettan è chiaro. Per comprendere la Russia bisogna liberarsi dalla diffidenza atavica che ci appartiene ma è necessario anche allargare il nostro giudizio critico su noi stessi, perché è nel riflesso reciproco che può essere intesa la realtà, e non nell’ignoranza.

Un libro intenso quindi, dove dal passato si arriva alla recente crisi ucraina, e si coglie pienamente il significato di questo lavoro: comprendere la storia per guardare al futuro, non solo al passato. Soltanto un rapporto senza pregiudizi potrà evitare, nel terzo millennio, gli orrori del secolo scorso. Il compito, inutile negarlo, è ineludibile ma arduo, perché, come sostiene un autore anonimo citato nel libro, ’Il problema della stampa del XXI secolo è che c’è troppa propaganda e pochi giornalisti’.

 

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