Quando si invita alla lettura delle opere di Joyce si pensa inevitabilmente alle più famose: Ulysses e Finnegans Wake, oppure i Dubliners o Daedalus. Prima che lo scrittore irlandese diventasse uno dei più grandi del Novecento, si cimentò tuttavia in altri esercizi letterari, come i racconti pubblicati nel 1904, nelle pagine dell’Irish Homstead, sotto pseudonimo. Successivamente, verranno riutilizzati in Gente di Dublino e, nel caso di “Le sorelle”, ampiamente riarrangiati.
Vi è un Joyce prima di Joyce, dunque, da riscoprire non solo per definirne tutto il percorso artistico, ma anche per coglierne l’evoluzione stilistica e spirituale. Dai racconti infatti si evince un forte nesso di continuità e discontinuità con l’opera successiva. Cosa si intende con questa concordia oppositorum, d’ispirazione bruniana?
Ce lo spiegano due dei maggiori studiosi di letteratura irlandese in Italia: Enrico Terrinoni, Professore all’Università per stranieri di Perugia, e il suo maestro Carlo Bigazzi. L’occasione è la pubblicazione di in un agile e-book edito da Feltrinelli (Tre storie di Stephen Daedalus).
Se la maturità artistica dell’Irlandese ha portato la sua scrittura ad atmosfere rarefatte, alchemiche, molto differenti dagli esordi, resta tuttavia evidente un legame profondo con tali inizi. Gli elementi principali, a mio avviso, sono fondamentalmente due: le ombre e la materia.
Le Sorelle, Eveline e Dopo una corsa, raccontano di tre storie all’apparenza estremamente semplici, ma accomunate tutte, in realtà, dal tratteggiare una vita celata dietro la vita. Una ombra per l’appunto, che, una volta mirata, riesce a dare sostanza a vicende altrimenti fin troppo definite e ordinarie, conferendo ai racconti poeticità e spessore.
- James Joyce
Ciò che non può esser colto, senza attraversare il vissuto sociale dei personaggi, sono i personaggi stessi. La loro cruda esistenza materiale.
Se le circostanze si distanziano dal Joyce maturo, emerge ancora la futura volontà di parlare della quotidianità nella sua complessità, fra gli intrecci della mente. Nelle innumerevoli contraddizioni.
Un solido apparato di note a cura di Bigazzi accompagna il lettore in questi piccoli viaggi, dove l’odore della torba e della povertà, delle veglie funebri irlandesi (come non pensare al Finnegans?) e delle pinte rimanda a quella “missione” di emancipare l’uomo tanto cara a Joyce. Ce lo spiega il curatore in una introduzione essenziale per capire la distanza tra il Joyce reale e quello della vulgata, che lo descrive apolitico e distante.
Terrinoni insiste sul contrario. Le storie narrate in queste pagine raccontano sempre micromondi che si espandono per diventare un cosmo pulsante, un dedalo di amore e morte, dove la Dublino di Joyce si trasforma nel nostro universo.