Diego Fusaro, filosofo dell’Università Vita-Salute San Raffaele di Milano è figura nota negli ambienti televisivi, nel nuovo libro affronta un personaggio centrale e delicatissimo della storia politica e intellettuale italiana: Antonio Gramsci.
Uno studio sul grande pensatore sardo richiede infatti non solo una profonda conoscenza bibliografica ma anche l’insolita capacità di essere il più possibili oggettivi durante l’analisi. Gramsci infatti, sia per le vicende personali, sia per ciò che rappresenta per la sinistra italiana, può facilmente venire frainteso e ’sfruttato’ per sostenere tesi anche lontane da lui.
Fusaro, con uno stile appassionato e certamente chiaro, non cede ad una narrazione leziosa o pedissequa, ma propone un testo interessante e vivace, capace di attirare l’attenzione del lettore dalla prima all’ultima pagina.
- Antonio Gramsci
Ciò che gli preme sottolineare, tuttavia e nonostante la descrizione dettagliata della vita del filosofo, è che il suo non è un libro su Gramsci, ma “a partire da Gramsci”. La dichiarazione è particolarmente gradita perché - lo si nota dalle prime battute - Fusaro è principalmente più interessato a fondare attraverso l’analisi una piattaforma programmatica per una rivoluzione del presente, che a esplorare il contesto storico dell’Italia fascista e le sue conseguenze.
Il Gramsci che emerge dalla lettura quindi viene ’coinvolto’ nella grande battaglia politica contro il capitalismo e l’euro condotta da Fusaro nei suoi libri. L’operazione, legittima, produce tuttavia alcune criticità
sia nella analisi specifica del pensiero gramsciano, sia nel suo rapporto con altre figure di spessore del periodo, come Gentile.
Fusaro ripercorre tutti i punti cardine delle riflessioni riportate nei Quaderni, soffermandosi in particolare, nelle ultime pagine del libro, sul dualismo ’nazional-popolare/internazionale’. Il risultato a cui approda non convince: prima di tutto perché piega Gramsci alla personale battaglia contro l’euro e la troika; secondariamente, poiché ne traccia il profilo umano insistendo troppo sull’eroismo del sardo, ovvero attingendo volutamente e eccessivamente ad un vocabolario romantico ed idealista.
E’ nel rapporto con l’idealismo e l’attualismo che si rintraccia, a mio giudizio, una maggiore necessità di definire meglio l’analisi terminologica e la contestualizzazione storica. ’Egemonia’, ’attualità”, ’praxis’ sono termini che coinvolgono sia Gentile che Gramsci: non perciò è convincente quando insiste sull’idea di un Gramsci gentiliano, di un filosofo rivoluzionario dell’Atto.
- Diego Fusaro
Proprio nella definizione della filosofia della prassi emerge il limite dell’accostamento: se politica e filosofia vengono a coincidere nel pensiero di Gramsci (la questione richiederebbe un tomo intero di riflessioni a proposito, non proponibile in questa sede), è chiaro che il destino politico dei due - l’uno carcerato, l’altro ministro del governo fascista - già dovrebbe insospettire il lettore attento.
Eccessivo appare il giudizio secondo cui ’Gramsci e Gentile possono essere considerati, con diritto, eroi italiani, maestri della coerenza e della filosofia come pensiero vissuto’. Bisogna ricordare che l’accostamento è forte e Fusaro lo sa bene, ma non lo presenta mai come intemperante, e lo si coglie anche con la disinvoltura con cui giudica il loro pensiero, amalgamando idealismo, crocianesimo, attualismo, e filosofia gramsciana in un grande calderone terminologico.
Alcuni giudizi sembrano incauti proprio perché letti attraverso le lenti gentiliane: ’Riassorbendo - alla maniera di Gentile - la trascendenza nell’immanenza, Gramsci sostituisce la religione tradizionale con la filosofia della praxis come fede nella libera attività dell’uomo (il nostro evangelo
è la filosofia moderna, aveva già scritto nel 1916). Risulta quindi fuorviante qualificare Gramsci come ’intensamente areligioso’ e ’maestro di laicità’.
Un libro chiaroscurale, quindi, e per questo ancor più utile da leggere e da approfondire.