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Il concetto di ignoranza e inganno: alcuni elementi


lunedì 18 maggio 2009 di Andrea Forte, Vivi Lombroso

Argomenti: Opinioni, riflessioni
Argomenti: Sociologia


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Dando una scorsa alla storia dell’umanità, le nostre famiglie, le nostre vite, ci accorgiamo di un curioso fenomeno. Prendiamo per esempio il contadino/a, poi sua mamma, nonna, zia, i figli, i nipoti etc., che riassumiamo in contadino-contadini. Conosciamo bene la figura di quegli uomini sani, ben piantati, cioè la cartolina del contadino. Accade però un fatto: togliendo la cartolina, il contadino passa molte ore nella stalla a mungere, molte ore a raccogliere stallatico e a portarlo vicino casa, donde il sano odore di stalla. Poi passa altre ore a seminarlo per i campi e nell’orto, in quanto concime sacro. Fra una cosa e l’altra, se non tutta la vita, passa ore, se non tutta la vita, a respirare ammoniaca. L’ammoniaca brucia gli alveoli polmonari, che poi porta ad una ipossigenazione al cervello… E non parliamo dei lumi a petrolio, i bracieri, i caminetti; quante sigarette fa ? L’argomento è enorme.

Si comincia a profilare il problema. Quale ? -L’ignoranza, ignorare il fatto. -Siccome il contadino non sa certe cose, pensa che ammassare stallatico sia cosa buona, la soluzionem la verità. Non parliamo delle situazioni epidemiologiche (la mamma con il raffreddore che abbraccia il proprio bambino, e in un turbinio di affetto si ammala tutta la famiglia), o le infezioni sessuali. Se prendiamo centinaia di circuiti, ci accorgiamo che il problema è l’ignorare una cosa, quella cosa, il particolare che stiamo vivendo, che ci condiziona. La stessa valutazione potremmo farla nelle case, nelle chiese, nei partiti.

Aldilà dei fatti specifici, c’è il problema di cosa è che ignoro di questo fatto oggi, di questa persona, della situazione. Si profila un primo aspetto del discorso. Indubbiamente ci può essere un concorso di fattori che favoriscono la conoscenza, d’altro canto, esiste pure la volontà di sapere e di ignorare. È evidente che in un contesto agricolo pastorizio ad un certo punto qualcuno ha voluto studiare i sassi, i liquidi, il gas, ha voluto scoprire la fisica biochimica. Il problema è rendersi conto che c’è una parte dell’umanità che non vuole diminuire il tetto del proprio ignorare e un gruppo di individui esigui che lo vogliono abbassare. Se questo fenomeno lo riscontriamo nel campo della vita pratica, negli affetti, nelle manifestazioni artistiche, istintuali, spirituali, c’è il sospetto che il diverso atteggiamento sia una struttura di fondo.

Se riflettiamo un attimo disincantati, ci accorgiamo che c’è uno schema abbastanza limpido; c’è un fenomeno, un punto, l’identità, il famigerato io, persino tu, hai l’impressione che ci sei.

Dall’altra abbiamo una realtà di un fatto. Con vari gradi di approssimazione, c’è qualcosa che possiamo non conoscere, ma c’è, e spesso e volentieri funziona pure. C’è io e la res. Allora il problema non è su io né su cosa c’è, il problema è il percorso da io alla cosa, la percentuale che io ignoro lungo il percorso. Il sasso di oggi è uguale a diecimila anni fa, se lo voglio conoscere ho tutto il tempo, ma il problema è il percorso. Se al posto del sasso ci mettiamo alcune cose nostre, il discorso è: io sto qui, lì c’è lui, l’assegno scoperto, il contratto di lavoro, etc. Cosa ci capisco? Voglio abbassare il tetto di comprensione o no? Sappiamo che è una lotta, e che siamo molto bravi a simulare di volere abbassare il tetto d’ignoranza, in realtà a schivare.

Abbiamo individuato un primo filo, dove non è peccato caricare o scaricare stallatico, ma lo è ignorare cosa emana. Tutti conoscono il problema della golosità a seguito di carenza affettiva.

Domanda: chi ci ripaga di quegli umani, milioni, che per miliardi di anni sono stati colpevolizzati, perseguiti, puniti? E’ uno dei sette vizi capitali, la gola. Lo scatto d’ira sappiamo che è un fatto biochimico. Il peccato non è la gola ma ignorare il processo di gola, d’ira, di lussuria. A monte dei cosiddetti peccati c’è l’unico peccato che l’essere umano può commettere, l’ignoranza, e lì è solo. Se vuole ignora, altrimenti lotta.

Il secondo filo è il tradimento, la carognaggine. Se andiamo a vedere una giornata tipo di tutti noi, ci accorgiamo che quasi completamente è basata sull’inganno e sull’ignoranza. Poniamo che sono un operaio. Mi alzo presto, sono convinto che lavorando produco, prendo lo stipendio con cui mantengo la famiglia, e la società va. La fabbrica in realtà andrebbe meglio con i robot, non è vero che ci mantengo la famiglia con le banconote che ricevo, ma è che quella sacca mantiene questo circuito e la mia famiglia campa. È quella sacca che gli serve, per motivi suoi, per mantenere tot famiglie, per fare circuito; infatti quando non serve, giù tutte le famiglie. La buona sana giornata parte con l’inganno che va a spiazzare tutta la sua vita. Il problema è andare a spasso? No, l’inganno, lo scippo. Fare la spesa? No, i conservanti. Mangiare pulito? No, la sofisticazione?. Ad ogni cosa c’è l’inganno che si sposta, che permea l’intera giornata, dal cibo alle situazioni di sicurezza, dalle situazioni fiscali a quelle religiose.

Se guardiamo la cosa dall’alto, ci accorgiamo che ogni individuo sta in piedi perché può praticare almeno un tipo di inganno, ma allo stesso tempo viene praticato da un pacchetto di inganni. Il fatto poggia su uno scambio di ignoranza. Potremmo dire che il peggior peccato è l’ignoranza, la peggior colpa l’inganno.

Per concludere, ci sarebbe molto da aggiungere a quanto detto, per non dire completare lo schema, che però ci riserviamo in un prossimo articolo.

 



  • Il concetto di ignoranza e inganno: alcuni elementi
    29 maggio 2009, di Simona

    Mi sono resa conto che - può accadere - mentre si ammette di essere ignoranti ci si inganna, in quanto l’ammissione - potrebbe rivelarsi - più un tentativo di mostrare superiorità, che non un reale interiorizzare l’ipotesi proposta.
    Ma ciò che più - risulterebbe - fuorviante. mi sembra. si possa trovare nelle conseguenze di questo inganno da ignoranza malcelata da intendimento, cioè, fra le tante, il tradimento del proprio porsi in essere e in esistere, laddove ci sarebbe l’occasione di poter simbolizzare una qualità piuttosto che una quantificazione di un evento..sia durante il rapporto con se stessi sia durante il rapporto con l’altro..direi in entrambe le vicissitudini..

    Mi chiedo se il senso di colpa per l’inganno e l’inevitabilità dell’errore dovuto da questa ignoranza onnipresente potrebbero, in qualche modo, incastrare la possibilità di una evoluzione che tenda a risolvere queste problematiche.
    Incastrare nel senso di generare un ulteriore menzogna che impedisca di vedere il meccanismo e renda poi impossibile la comunicazione del problema.
    Posto che ciò accada..il discorso va a porre i suoi esiti su una comunque esigua minoranza che tende ad essere, in qualche modo più onesta verso se stessa e quindi ad accorgersi di queste trappole..
    Se io abbasso il mio tetto di ignoranza..posso semplificare il processo di comunicazione con me stessa e con l’altro?
    Secondo la mia esperienza direi Ni, oppure So..
    C’è un’esigenza di dichiarare, di imporre, di indurre, di spodestare, di sovrastare, che tende a rendere questo meccanismo un coacervo quasi inestricabile di contraddizioni e di complessificazioni..Tanto è vero che al di là di un qualsiasi sistema adottato per risolvere le varie problematiche esistenti, sempre ci si ritrova a dover arginare, oppure subire, o anche avallare la suddetta rosa di esigenze..
    non si può certo evitare di pensare che sia l’inganno che l’errore siano praticamente un’esigenza prioritaria sulla rosa di esigenze espressa..
    Simona

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