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La logica della complessità


lunedì 12 settembre 2011 di Andrea Forte, Vivi Lombroso

Argomenti: Letteratura e filosofia


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In linea molto generica, il sostantivo complesso sta ad indicare un sistema, sia esso concreto od astratto o misto, che comunque risulti composto da elementi plurimi. Tali elementi sono distinti fra loro, ma comunque organizzati ed interattivi a causa di relazioni definite. Tuttavia nel linguaggio comune l’idea di complessità ha un significato leggermente critico e prudente, quando non addirittura denigrativo. Spesso sta ad indicare che gli elementi sono più che plurimi, persino fin troppi, mentre le loro interrelazioni non sono tutte ben definite o persino confuse o ignote. In quest’ottica, la complessità affascina alcuni, vedi l’enigmistica, i libri gialli etc., mentre respinge altri, vedi i naturomani, i pigri mentali, i misticoidi etc.

La complessità si ritrova in chimica, matematica e logica, filosofia, psicologia, cibernetica e sociologia etc. Naturalmente in ciascun settore ove compaia l’idea di complessità, assume significati specifici, talora vicini fra loro, talaltra molto distanti. Si potrebbe parlare pertanto di complessologia intesa come scienza, e di complessologismo inteso come logica della complessità.

In questo secolo è emerso che la conoscenza progrediva solo in termini di complessità, non in termini di semplicità, e risultava invece una perdita di conoscenza, quando non addirittura una sostituzione pericolosa, spesso politica, della conoscenza. Un esempio scontato è ciò che accade nella religione. Se prendiamo il catechismo dei cristiani, il Corano, gli Upanishad, i Veda, la Bibbia, ci accorgiamo che sono tutti basati sul concetto di scienza semplice, cioè esprimono dei concetti semplici, chiari, che colpiscono le nevrosi direttamente, e che danno immediatamente il senso di avere compreso. Il momento in cui si arriva a questa valutazione, e cioè che la complessità avvicina alla conoscenza, ci accorgiamo che ciò è valido se lo applichiamo nella vita pratica, intima, nella scienza etc.

È un fatto acquisito che l’essere umano conosca per contrasti, qualunque sia la facoltà adottata. Addirittura si può fare una distinzione fra quegli individui che credono che si conosca meglio nella misura in cui si approfondisce un aspetto di qualunque cosa, e coloro che ritengono si possa progredire in qualsiasi tipo di conoscenza cogliendo gli aspetti complementari di qualsiasi cosa. In realtà si avrebbero tre livelli di accesso alla conoscibilità: un primo livello che coglie solo un aspetto di qualcosa, un secondo livello che coglie gli aspetti complementari, e un terzo livello che travalica gli stessi complementari.

100000000000012C0000012CD323DE63Quasi tutti ritengono che si conosca l’amore sempre meglio nella misura in cui si ami sempre di più. Pochi riconoscono che si conosce sempre meglio l’amore nella misura in cui si comprenda l’odio, e viceversa. In realtà pochissimi sono disposti a riconoscere che si possa comprendere risolutivamente l’amore, e quindi l’odio, ponendosi come osservatori al di fuori degli stessi. Detto per inciso, si mormora che qualora ci si collochi a monte dei citati sentimenti, ebbene risulterebbe come essi non siano che polarizzazioni formali di un’unica pulsione.

Secondo i complessologi, esiste un paradigma di semplicità, cioè una relazione logica indissolubile tra nozioni o principi ritenuti essenziali. In altre parole, il momento in cui l’umanità è divenuta consapevole di essere consapevole, ha potuto constatare:

a – che l’attività mentale umana opera secondo determinati meccanismi riconoscibili._ b – che la mente umana può talora sbagliare nel riconoscimento di qualche meccanismo, per poi accorgersene e correggere l’errore._ c – che una parte dell’attività mentale sfugge a qualunque tipo di constatazione, ma non sfugge alle leggi basilari dell’attività mentale stessa.

In conseguenza di ciò, comunque ci si potrà muovere o cogliendo la semplificazione di un evento, oppure cogliendone la complessificazione. Il paradigma di semplicità sembra mettere ordine, dalla quotidianità all’universalità, e soprattutto dà la netta sensazione di allontanare, esorcizzare, il disordine. Sapendo quanto l’essere umano sia per tradizione genetica un insicuro, un pauroso, un aggressivo più per rimbalzo che per reale coraggio, è comprensibile allora come non possa che difendere strenuamente i propri paradigmi di semplicità. In tale paradigma l’ordine non risulta evidente, ma diventa legge. 1000000000000096000000702473CC25Gioverà sottolineare come il paradigma di semplicità consideri sia l’unicità che la molteplicità, ma le consideri disgiunte. Ciò che non considera è la realtà dell’una, la molteplice, la realtà dei vari molteplici, e la realtà della consustanzialità dell’una e del molteplice.

Anche in questo riemerge un antico e sempre attuale problema. Ad un approfondito sentore emerge come si possa comprendere meglio un elemento comprendendo meglio il complementare, e viceversa. Questo atteggiamento risulta molto produttivo ed esatto, tuttavia, se si riflette un attimo su esso, ci si accorge che risulta permeato di un sottile e profondo paradosso che è pregiudiziale. In pratica come faccio a capire l’amore comprendendo l’odio, se per comprendere l’odio devo comprendere l’amore, che però mi rimanda all’odio, e così via all’infinito? E’ proprio perché a monte dei termini del problema sussiste una Identità, che distingue constatandoli i due aspetti, che si può innescare il processo di conoscenza e di riconoscimento. Si potrebbe dire che l’essere umano già sa cosa è odio e amore, ma lo ha dimenticato, dopodiché si può innescare il procedimento per riconoscerli, e tornare allo stato di osservatore esterno che si colloca a monte.

P.S.

Per ulteriori approfondimenti sul tema della complessità, vedi anche http://www.tulliotinti.net/psicofilosofia/articoli/epistemologia_complex.pdf


 

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