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L’illuminazione nelle miniere

Luci dal sottosuolo
martedì 1 febbraio 2011 di Odino Grubessi

Argomenti: Storia


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Da sempre l’uomo si avventura nel sottosuolo per coltivare minerali e combustibili fossili e da sempre la lampada da miniera gli è compagna inseparabile per meglio organizzare il suo lavoro, ma soprattutto per attingere la sicurezza ed il coraggio per affrontare l’oscurità di un mondo ignoto e pieno di insidie.

Giuseppe Croce, collezionista ed esperto di lampade da miniera, è un perito minerario di Agordo che anni orsono, in occasione d una visita ad una miniera di carbone in Romania, ebbe in dono una lampada di sicurezza tipo Davy. Quel tipo di lampada lo aveva studiato senza troppo interesse sui testi di arte mineraria, ma quella particolare lampada fu per lui veramente illuminante. Gli fece nascere la voglia di scoprirne altre, di epoca e di provenienze diverse e di raccogliere ed apprezzare le caratteristiche di ciascuna. I pochi pezzi iniziali sono aumentati negli anni e sono diventati una ricca collezione, unica del suo genere. Ora per noi ha scritto questo articolo che volentieri pubblichiamo.

Introduzione

Alcune attività ad esempio la caccia, sono proprie sia dell’uomo sia di altri animali.

Altre attività sono invece tipiche ed esclusive dell’uomo e tra queste si colloca la ricerca e l’estrazione dei minerali. E’ una attività nata per mantenere e migliorare il suo tenore di vita, ed è, insieme, causa ed effetto della sua lenta, ma continua evoluzione. All’inizio l’uomo non aveva grandi difficoltà per reperire i minerali che gli erano necessari. Li trovava nelle alluvioni, nei corsi d’acqua, nei detriti di falda e li raccoglieva senza grandi fatiche. Col tempo però, con il crescente bisogno di metalli, queste risorse naturali facilmente disponibili cominciarono ad esaurirsi e l’uomo incominciò a dover scavare il terreno dove il minerale affiorava sotto forma di filoni o di lenti. Iniziarono per lui le prime difficoltà perché gli attrezzi di cui poteva disporre erano assai rudimentali.

Tra questi il più importante fu il fuoco. Addossava pezzi di legno alla roccia mineralizzata, poi li accendeva e quando la roccia aveva raggiunto una temperatura sufficientemente elevata vi versava sopra acqua fredda in modo che si sgretolasse per il repentino abbassamento termico conseguente.

Seguendo la roccia mineralizzata penetrava nella montagna: i primi metri erano abbastanza facili da scavare perché la roccia era più tenera per il degrado provocato dagli agenti atmosferici e la luce proveniente dal sole era sufficiente per lavorare.

Ma più l’uomo si addentrava nelle viscere della terra più i suoi problemi aumentavano, e tra i suoi problemi il più grave era l’impossibilità di operare in un ambiente dominato dal buio più assoluto.

All’inizio del tempo Dio aveva creato la luce, e aveva posto il sole e la luna in cielo per illuminare la terra sia di giorno che di notte, e li aveva donati a chi vivendo sulla terra doveva combattere ogni giorno la sua battaglia per la sopravvivenza.

Ma al minatore, che era così temerario da volersi inoltrare nella terra alla ricerca dei suoi tesori nascosti, Dio non aveva fatto regali. Ci pensasse lui, il minatore, col suo ingegno e la sua fatica, a trovarsi i mezzi necessari per affrontare il buio del sottosuolo. E poco per volta il minatore quei mezzi li trovò: inizialmente torce, poi lucerne ad olio, lampade a gas, lampade elettriche, apparecchiature sempre più efficaci ed accurate che costituiscono ora l’oggetto di questa storia.

Da sempre, quindi, l’uomo si avventura nel sottosuolo per coltivare minerali e combustibili fossili e da sempre la lampada da miniera gli è compagna inseparabile per meglio organizzare il suo lavoro, ma anche e soprattutto per attingere la sicurezza ed il coraggio per affrontare l’oscurità di un mondo ignoto e pieno di insidie.

Le lampade da miniera appartengono alla cultura mineraria di ogni tempo e paese.

Illuminazione primitiva

L’oscurità è stato il primo ostacolo che i minatori hanno dovuto affrontare negli scavi in sotterraneo. La luce del giorno che veniva dall’imboccatura dei pozzi doveva bastare, ma a condizione di non allontanarsi troppo da essa.

Non conoscendo fonti diverse dalla luce del sole, le scintille provocate dallo strofinio di pezzi di pietra focaia furono il solo mezzo alternativo di illuminazione per migliaia di anni.

Con la capacità di controllare l’utilizzo del fuoco, l’uomo primitivo portò in miniera le torce, consistenti in schegge di legno di pino legate assieme ed intrise di resine che possono essere definite le prime lampade portatili.

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Fig. 1
Antica lucerna aperta in terracotta

Risale al tempo degli egizi l’impiego di lucerne [miniera di smeraldi di Djebel Zabarah], manufatti di argilla cotta a forma ciotola aperta [Fig. 1] o chiusa, che bruciavano sego ricavato da grassi di animali.

Candele

Dal I° sec d.C. furono usate anche candele di sego che avevano il pregio di meglio illuminare rispetto alle lucerne, ma che dovevano essere impiegate solo in ambienti areati, in quanto fumavano eccessivamente. [fig. 2]

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Fig. 2
Candela montata su supporto metallico

Le candele venivano montate su un supporto di metallo a punta che veniva infisso nel legname delle armature, oppure venivano portate direttamente sull’elmetto del minatore anche durante il suo lavoro.

L’illuminazione del sottosuolo ha seguito un lento sviluppo nel tempo. Solo nel XVII sec apparvero lampade a fiamma libera più sofisticate costruite in metallo, munite di gancio per appenderle e funzionanti sempre con olio vegetale o animale [fig. 3]. La forma poteva variare nelle diverse regioni minerarie.

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Fig. 3
Lampada a forma di bacinella aperta ad olio, costruita in ferro - XVIIsec

Fino all’alba dell’era industriale - 1800 circa - le lampade ad olio vegetale, pur evolute nel tempo e le candele di sego sono state le uniche fonti di luce in sotterraneo.

Lampade metalliche

Qui di seguito ricordiamo le due più conosciute e diffuse.

Lampada Frosch (rana in italiano, frog in inglese)

Questa lampada è stata molto diffusa in Germania dal XVI al XIX secolo e sostituì le prime a forma di bacinella aperta. Consisteva in un contenitore metallico a forma di rana, chiuso con un piccolo coperchio a cerniera, o con un chiavistello scorrevole per la carica dell’olio vegetale e con un opercolo per lo stoppino. Era sormontata da un mezzo arco di ferro da cui dipartiva il gancio per tenerla in mano e per appenderla una volta giunti sul posto di lavoro. [Fig. 4]

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Fig. 4
Lampada ad olio tipo Frosch - XVI - XIX sec

Molte di queste lampade avevano una piastrina di ottone sulla quale erano incisi due martelli incrociati (simbolo minerario per eccellenza) e il motto "Glúck Auf” (Buona fortuna). E i minatori di quei tempi ne avevano sicuramente tanto bisogno!

Lampada lenticolare (rave in Francia, linsenlampen in Germania, tunnel lamp in Inghilterra).

Costruita in ghisa, in ferro o in ottone era caratterizzata da un contenitore del combustibile di forma circolare oppure a stella con 8 o 16 punte, sormontata da un sostegno ad arco incernierato col serbatoio e con un allungo terminale ad uncino o con un piccolo martello a punta, per infiggerlo nel legno delle armature o appenderlo alla roccia. La lampada conteneva una riserva di olio vegetale per illuminare circa dieci ore ed era dotata di una pinzetta con catenella per tirare lo stoppino. [Fig. 5]

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Fig. 5
Lampada lenticolare a stella rave. Fregi in ottone - XVII sec.

Il tappo dei serbatoio era ornato da un galletto in metallo, le più ricercate in ottone, che completava la decorazione.

La rivoluzione industriale

Il repentino sviluppo dell’industria manifatturiera causò nel XVIII secolo una crescente domanda di combustibili in generale e di carbone in particolare.

Le miniere di carbone sino ad allora coltivate superficialmente, raggiunsero profondità ed estensioni considerevoli.

La quasi totalità delle miniere di carbone profonde è caratterizzata dalla presenza di gas (grisou) che, a contatto con qualsiasi tipo di fiamma, tende ad esplodere con effetti devastanti. Di conseguenza il problema dell’illuminazione, risolto nei sotterranei non grisoutosi in modo abbastanza soddisfacente con le lampade a fiamma libera, si pose nei sotterranei grisoutosi in modo drammatico, dato che l’impiego di lampade a fiamma libera comportava inevitabilmente esplosioni incontrollabili con danni, feriti e morti.

Il grisou - gli inglesi lo chiamano fire damp - è una miscela di gas essenzialmente composta da metano (CH4), anidride carbonica (CO2), azoto ed ossigeno ed esiste allo stato naturale in certi giacimenti di combustibili fossili.

L’origine del metano è strettamente legata ai processi di trasformazione di sostanze organiche che hanno generato il carbone dal quale si sprigiona al momento dell’estrazione. Il metano, combustibile, forma con l’aria una miscela che diventa esplosiva quando il suo tenore è compreso tra il 6 e il 16%.

Quando questo pericolo non era perfettamente conosciuto, i minatori entravano nelle miniere di carbone con lampade a fiamma libera provocando, in determinate condizioni, l’innescamento e lo scoppio del grisou, ma varie potevano essere le cause di esplosione, quali l’accensione di un fiammifero, la rottura o il cattivo funzionamento di apparecchiature elettriche e l’impiego di esplosivi non antigrisoutosi.

L’innescamento del grisou avviene ad una temperatura di 650 °C con un ritardo di 10 secondi, che scende ad un secondo quando la temperatura è di 1.000 °’C. Lo scoppio è un avvenimento di una violenza inimmaginabile.

La temperatura di combustione in pochi attimi raggiunge 2000°C mentre l’onda d’urto distrugge tutto al suo propagarsi, rovesciando carrelli, divellendo le armature di sostegno, strappando e distruggendo tutti gli impianti in genere e proiettando gli uomini contro le pareti provocandone la morte.

La polvere di carbone, che è ovunque sempre depositata nella miniera, si infiamma a sua volta aggravando gli effetti devastanti dello scoppio dei grisou.

Il male non finisce qui. Quantità considerevoli di ossido di carbonio e di azoto, prodotti dalla combustione dei gas, stazionano nelle gallerie e provocano la morte per avvelenamento dei minatori che erano scampati all’azione immediata dell’esplosione.

I danni nei cantieri e nelle gallerie sono sempre rilevanti e gravi sono le conseguenze delle frane che chiudono le vie di salvezza alle vittime. Le correnti di aerazione si arrestano per questa perturbazione o non sono più regolabili dalle porte di ventilazione distrutte, oppure gli stessi impianti dell’aria sana, alla bocca del pozzo, sono stati rovinati.

In questa drammatica situazione diventa impossibile portare immediate ed efficaci opere di salvataggio.

All’inizio del XIX secolo, quindi, di fronte all’impossibilità di sconfiggere tale flagello, molte miniere ricche di grisou dovettero essere chiuse e abbandonate

In altre il grisou veniva affrontato bruciandolo con una lampada sempre accesa all’imbocco della miniera man mano che esso defluiva naturalmente dalla volta (il grisou è più leggero dell’aria). Era un’operazione empirica non priva di pericolo e non risolutiva.

In altre miniere ancora si cercava di accendere il grisou per mezzo di un penitente.

Il penitente era un minatore volontario o estratto a sorte che penetrava da solo nella miniera prima del turno di lavoro dei mattino (allora non si lavorava di notte). Egli, vestito con pesanti abiti di cuoio, di guanti, di passamontagna, il tutto abbondantemente bagnato per evitare le ustioni, si avvicinava carponi il più possibile alle sacche di grisou che si erano formate nel corso della notte e, con una torcia fissata all’estremità di una pertica, accendeva il grisou che, più leggero dell’aria, si era accumulato in prossimità delle volte delle gallerie. Questi penitenti rischiavano quotidianamente di non tornare vivi dalla miniera. Purtroppo, quando le norme di sicurezza non venivano adottate o non sono state rispettate, il grisou ha continuato a mietere molte vittime tra i minatori. Negli anni tra il 1750 e il 1815 sono deceduti per questa causa decine di migliaia di minatori.

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Fig. 6
La tragedia di Ribolla - Beltrame - Domenica del corriere del 16 maggio1954

In Italia sono periti per causa dei grisou 42 minatori a Ribolla (Toscana) nel 1954 [Fig. 6] e altri 21 nella miniera di Morgnano (Spoleto) nel 1955. Più di 100 nella ex miniera dell’Arsia in Istria, allora italiana ora croata, poco prima della seconda guerra mondiale, finché nell’anno 1815 l’inglese Humprey Davy preparò una lampada di sicurezza ad olio che evitava che il grisou venisse a contatto con la fiamma e quindi venisse innescato.

La lampada di sicurezza di Humprey Davy

La lampada di sicurezza di Davy si basa sul principio fisico che una fiamma non passa una rete metallica quando le maglie sono molto fitte. Quindi una camicia cilindrica grigliata applicata a guisa di cappuccio alla fiamma di una lampada, impedisce alla fiamma stessa di venire a contatto con l’atmosfera esplosiva (grisou) consentendo l’ingresso dell’aria (comburente) e la fuoriuscita dei gas di combustione.

La lampada di Davy risolse molti problemi e ci fu la riapertura delle miniere di carbone abbandonate. [Fig. 7]

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Fig. 7
Lampada di sicurezza Davy, con sola rete.

Con il tempo la lampada di Davy fu perfezionata da altri inventori che eliminarono le carenze dei primo esemplare.

La prima lampada di sicurezza. che funzionava ad olio vegetale, aveva un rendimento luminoso pessimo perché la luce della fiamma doveva passare attraverso la maglia metallica. Nel 1870 fu inserito un vetro in sostituzione della rete al livello della fiamma. [Fig. 8]

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Fig. 8
Lampada di sicurezza Davy, con vetro altezza fiamma
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Fig. 9
Lampada di sicurezza Davy, con mantello metallico

La lampada di Davy aveva una sola camicia di rete e perciò se la lampada veniva inclinata o lasciata in corrente d’aria, la fiamma andava a lambire la rete e la rendeva incandescente con pericolo di innesco per il grisou. Fu adottata una seconda camicia di rete metallica, di dimensioni inferiori, contenuta nella prima.

Le reti metalliche furono protette dalle azioni meccaniche da un mantello metallico con lo scopo anche di proteggere la fiamma dalle correnti d’aria. [Fig. 9]

Dalla scoperta e fino alla fine dei secolo XIX, tutte le lampade di sicurezza erano alimentate con olio vegetale che aveva un pessimo rendimento luminoso e aveva l’inconveniente di una difficile accensione che poteva essere fatta solamente nella lampisteria della miniera.

Lampada di Wolf

Il tedesco Karl Wolf, nel 1883, realizzò la prima lampada di sicurezza alimentata a benzina che presentava molte differenze vantaggiose rispetto al quelle alimentate ad olio.

Il potere illuminante era migliorato dei 30% e durava per tutto il turno di lavoro. La lampada poteva essere facilmente riaccesa, per l’infiammabilità della benzina, anche dal minatore, utilizzando un apposito accenditore a pietrina al ferro-cesio in dotazione alla lampada. [Fig. 10]

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Fig. 10
Lampada di sicurezza a benzina tipo Wolf

Infine, e soprattutto, la lampada Wolf permetteva di accertare la presenza di grisou per il comportamento della fiamma della benzina che, in sua presenza, si innalzava permettendo di valutarne la percentuale con buona precisione. La lampada inventata da Wolf è quanto di meglio si sia realizzato, ai fini della sicurezza nelle miniere, con illuminazione a fiamma.

Lampada ad acetilene detta anche a carburo

Fino alla fine del XIX secolo. dove non c’era pericolo di gas, venivano comunemente usate lampade a fiamma libera con combustibile ad olio. Solo la scoperta, nel 1893, di produrre in modo industriale il carburo di calcio e quindi l’acetilene consenti di avere finalmente un mezzo di illuminazione economico e con una fiamma intensa.

La lampada ad acetilene, detta anche a carburo [fig.11], è composta da due contenitori cilindrici in metallo sovrapposti che si uniscono ermeticamente tra loro con vari sistemi. Quello superiore funge da serbatoio dell’acqua; quello inferiore contiene la carica di carburo di calcio.

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Fig. 11
Lampada a carburo con chiusura a vite

Sono uniti strettamente uno all’altro con vari sistemi di bloccaggio. Un rubinetto a spillo regola l’afflusso dell’acqua sul carburo. L’acetilene prodotto dalla reazione raggiunge attraverso un condotto un ugello, bruciando, dopo accensione, all’aria libera con luce molto bianca e luminosa.

Lampade elettriche a batteria

Le lampade elettriche a batteria, che garantissero una sufficiente autonomia, comparvero solo verso il 1905.

Esse trovarono utilizzo solamente nelle miniere di carbone e di zolfo. Erano assai pesanti. avevano una buona illuminazione. ma non potevano rivelare la presenza di grisou.

Con il passare degli anni e con il progredire dei componenti impiegati, le lampade elettriche a batteria al nichel-cadmio hanno trovato maggior diffusione nelle miniere soggette a pericolo di esplosione o di incendio. [Fig 12]

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Fig. 12
Lampada elettrica di sicurezza a batteria, al nichel-cadmio

Solo dopo la seconda guerra mondiale si diffusero le lampade elettriche a batteria da portare alla cintura e il faretto fissato sul copricapo. Oggi esse hanno raggiunto quel grado di praticità che le hanno fatte adottare ormai in tutte le miniere dei mondo e in tutti i lavori di scavo. [Fig. 13]

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Fig. 13
Moderna lampada elettrica a batteria al nichel-cadmio per elmetto.

Conclusione

Oggi, i progressi tecnologici hanno messo in discussione l’esistenza stessa di una delle figure più rappresentative dell’attività mineraria, cioè quella del minatore, intento a lavorare in solitudine per ore e ore in un ambiente malsano per il caldo e l’umidità, con la sua lampada, inseparabile compagna di lavoro.

Di conseguenza le lampade da miniera, strumento intimamente legato al minatore, sono diventate ormai oggetto di collezione.

Restano un ricordo da curare con amore e con rispetto e anche la testimonianza di un lavoro che, con le sue durezze e i suoi sacrifici, ha contribuito non poco al benessere in cui oggi viviamo.

 

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