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L’ultimo miliardo (Oxford University Press, 2007, ed. it. Laterza, 2009)

IL DESTINO DEL MILIARDO DI ABITANTI DEI PAESI POVERI

Cambiare la politica degli aiuti – conclude Collier – e cambiare gli interventi militari, migliorando le leggi dei paesi sviluppati e le loro politiche commerciali.
mercoledì 28 ottobre 2009 di Carlo Vallauri

Argomenti: Economia e Finanza
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Argomenti: Paul Collier


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L’ultimo miliardo al quale Paul Collier ha intitolato un suo recentie libro è quello degli abitanti dei paesi più poveri del mondo (dall’Africa all’Asia) che non sono in grado di svilupparsi. Rilevato come i conflitti tendano sempre più a coinvolgere i paesi (specie africani a basso reddito), non inseriti in quello sviluppo che segnò (all’inizio degli anni ‘80) l’avvio della diminuzione della povertà a livello mondiale, perché le agenzie chiamate ad occuparsi di tali problemi non sono in grado neppure di conoscere quell’insieme di “negligenze”, di omissioni di comportamenti delle grandi forze internazionali che minacciano di diventare un rischio per l’intero mondo.

Dei 5 miliardi di esseri umani, c’è l’ultimo miliardo che non riesce a superare la soglia della povertà, anzi questa è peggiorata. Quali le cause? Collier le attribuisce alle conseguenze della natura che depaupera e riduce potenzialità umane: paesi caratterizzati da condizioni di estrema indigenza con una economia che decresce al passo del 10% mentre gli altri 4 miliardi di persone si sono avvantaggiati di una crescita pro capite che dal 2% è arrivata, nel XXI secolo, al 4,5%. Sono paesi coinvolti in guerre civili, alimentate da condizioni di basso reddito e di generale stagnazione (Collier cita i casi dello Zaire, oggi Repubblica democratica del Congo, e della Repubblica del Congo) o da guerre interstatali come quella tra Etiopia ed Eritrea (che attorno il suo fronte di liberazione popolare ha realizzato l’indipendenza), nonché della Sierra Leone, oltre al Ruanda e il Burundi. In molti di questi paesi sono le risorse naturali a finanziare i conflitti (come i diamanti in Angola) e il petrolio nel Niger. Peraltro risulta che il 95% della produzione di droghe pesanti proviene da paesi in conflitto.

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Lo stesso Bin Laden ha scelto l’Afghanistan come base perché lì il conflitto crea situazioni che rendono più facile sottrarre il traffico della droga a qualsiasi controllo. Il basso reddito – sottolinea Collier – favorisce i colpi di Stato. Altro fattore pernicioso è la corruzione, cioè l’uso clientelare del potere che sottrae denaro pubblico dalle casse dello Stato. Così si erodono i sistemi di pesi e contrappesi, domina il potere delle rendite, s’impongono regimi autoritari e le stesse risorse naturali diventano una trappola per i paesi che le possiedono, mentre in altri paesi l’incremento del reddito pro-capite favorisce i controlli pubblici, come accade in Norvegia, il paese che si è attrezzato con regole adeguate al suo livello di sviluppo.

La crescita economica veloce dell’India è stata attivata dalle stesse condizioni cui il paese si è trovato, grazie ad una economia costiera con accesso al mare, che favorisce l’integrazione nel sistema mondiale, una serie di fenomeni resi più rapidi dallo sviluppo dell’elettronica. I paesi arretrati hanno bisogno di incrementare i commerci, migliorare la politica economica, di non restare esclusi né dai trasporti aerei né da Internet, di incoraggiare la rimessa degli emigrati, di creare un ambiente favorevole agli investimenti e far avanzare lo sviluppo rurale quando non possono ambire ad una rapida industrializzazione.

Se non si riescono a superare le condizioni di inferiorità si determina una situazione che accresce i rischi, come accade ai paesi ai margini dell’economia mondiale, nei quali si sono registrati ulteriori fattori negativi, a causa delle restrizioni commerciali. Si è registrato il trasferimento di industrie manifatturiere dagli Stati Uniti e dall’Europa verso l’Asia, dove così le remunerazioni sono aumentate, e rimane una grande quantità di manodopera a basso costo. Ma per entrare nel circuito dei mercati mondiale le industrie manifatturiere devono superare la soglia di competitività dei costi. Con l’incremento del numero dei posti di lavoro aumenta il grado di sicurezza economica (come accaduto nel Madagascar), ma la guerra civile (con il presidente che, perdute le elezioni, si è rifiutato di consegnare il potere) ha determinato un tracollo.

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I paesi costieri – rileva ancora Collier – sono avvantaggiati rispetto a quelli senza accesso al mare. Privi di capitale, i paesi più poveri in Africa non hanno fondi per incrementare le infrastrutture, mentre in Asia orientale il capitale privato consente gli investimenti. La Cina ha registrato invece “immensi afflussi di capitale” mentre nei paesi africani il malgoverno scoraggia gli investimenti stranieri. Quanto agli aiuti negli anni recenti il G8 si è impegnato ad aumentarli per l’Africa, ma l’esperienza insegna che il loro rendimento è decresciuto. Le stesse burocrazie delle agenzie incaricate degli interventi restano intrappolate dall’intreccio di interessi. Si tratta invece di assicurare sostegni al bilancio degli Stati poveri, che tuttora però utilizzano gli aiuti ricevuti senza che la popolazione ne possa beneficiare.

Viene citato il caso dei 20 milioni di euro che la Commissione europea ha erogato nel 2005 al Ciad: non si è mai saputo bene se siano stati destinati ai bisogni reali della popolazione o per rifinanziare l’esercito. Come evitare di finanziare inconsapevolmente le spese militari? Lo Stocklolm Peace Research Institute ha verificato i dati di questi aiuti: ebbene è risultato che una parte degli aiuti conferisce nelle spese militari (attorno all’11%) e il resto viene dirottato verso altri scopi, in maniera da non influire affatto e rimuovere la povertà complessiva nei singoli Stati. In effetti la Commissione europea concede aiuti sotto forma di doni variamente utilizzati, a paesi a medio reddito, mentre la Banca Mondiale concede prestiti ai paesi più poveri.

Quali benefici ne traggono i presumibili beneficiari? C’è da osservare che anche l’Europa, dopo la seconda guerra mondiale, ha beneficiato di aiuti, ma essi hanno funzionato, favorendo la ricostruzione. Nei paesi poveri adesso affluiscono gli aiuti che si esauriscono rapidamente in forme dissipatorie. Gli aiuti dovrebbero agire come incentivi, ma l’azione dei governi dissipa molte potenzialità derivate da questi aiuti, tra l’altro aiuti pervenuti negli ultimi tempi (fine anni ’90 e seguenti) attraverso l’apposita agenzia americana sono diminuiti, preda delle lobby commerciali, come nel Congo, dove le somme spese hanno finito per favorire determinati esportatori americani a prescindere dai bisogni degli africani. Ma è soprattutto l’assistenza tecnica per la formazione che può favorire il processo di risanamento negli Stati bisognosi d’aiuto. Pertanto Collier propone di far pervenire gli aiuti attraverso agenzie indipendenti.

Altro problema riguarda il mantenimento della pace dopo i conflitti nei o tra i paesi poveri: viene indicato il caso dell’intervento militare britannico in Sierra Leone che è risultato positivo, solo quando le truppe ribelli si sono rese conto che i britannici erano decisi a battersi e a non desistere dai combattimenti, come spesso è accaduto in altri interventi di truppe dell’ONU. In Collier, che – per gli incarichi espletati a livello internazionale – è stato in grado di rendersi conto del reale impatto degli interventi eseguiti per salvare la pace o per assicurare l’impiego degli aiuti elargiti fa amare constatazioni sui casi nei quali la forza militare intervenuta non è stata in grado di mantenere la pace. I militari tendono a fare colpi di stato ed i governi sono sempre sotto il rischio di subirne l’azione. I paesi poveri – osserva – sono in un vicolo cieco, vittime di una costante estorsione, mediante la sola minaccia di un colpo di stato. E lo studio prosegue individuando vari punti da tener presenti al fine di rendere possibile l’osservanza di standard e di codici internazionali che stabiliscono come utilizzare i proventi delle risorse naturali.

Dopo il crollo dell’Urss la democrazia si è diffusa in tanti paesi, indice – osserva lo studioso – del potere persuasivo del confronto e della persuasività provocata dei media, che diffondono informazioni prima inafferrabili. Occorre allora assicurare regole precise per la trasparenza degli interventi appare indispensabile sì da assicurare che aiuti ed interventi a reale vantaggio delle popolazioni. Si parla di incrementare i prezzi di prodotti esportati dai paesi poveri, ma Collier ritiene invece dannoso continuare a coltivare i prodotti che già hanno condannato i paesi alla povertà.

La diversificazione delle esportazioni appare invece una risposta in grado di rilanciare il settore manifatturiero delle economie più arretrate, ma l’OCSE dovrebbe eliminare i dazi nei confronti dei paesi più poveri. La WTO intende negoziare la reciproca riduzione dei dazi tra i paesi in via di sviluppo – che stanno regredendo – e quelli dell’occidente. Negli USA i prodotti provenienti dall’Africa non pagano dazi, il dispositivo (Eveting but Arms – EBA) predisposto dall’Unione Europea prevede un accesso analogo nel mercato europeo dei prodotti provenienti dai paesi meno evoluti come Somalia e Liberia.

Cambiare la politica degli aiuti – conclude Collier – e cambiare gli interventi militari, migliorando le leggi dei paesi sviluppati e le loro politiche commerciali. Sono le conclusioni dell’analisi più accurata che abbiamo trovato nella recente pubblicistica (2009) e che pertanto abbiamo ritenuto di far conoscere ai nostri lettori.

 

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