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Il popolo bambino (Einaudi, Torino, 2005)

LA GENERAZIONE DEI BALILLA IN UNA SINGOLARE RIEVOCAZIONE

di Antonio Gibelli
venerdì 25 novembre 2005 di Carlo Vallauri

Argomenti: Folclore e Tradizioni Popolari
Argomenti: Sociologia
Argomenti: Recensioni Libri
Argomenti: Antonio Gibelli


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Il popolo bambino di Antonio Gibelli (Einaudi, Torino, 2005) è una singolare ricostruzione delle molteplici e complesse esperienze dei ragazzi italiani nelle vicende del Novecento. Così vediamo come dalle precedenti formazioni all’insegna deamicisiana si sia passati, attraverso le differenti strade dello scoutismo o del “balillismo”, alla più indottrinata fase di preparazione alla guerra fascista, che implicò una ossessionante esaltazione dei valori bellici. E con una serie infinita di rievocazioni di episodi e ricordi l’autore illustra le varie manifestazioni attraverso le quali si cercava di dare un tono chiaramente rivolto a fare di ogni bambino un predestinato “eroe” disposto a ogni sacrificio per essere degno di tradizioni combattentistiche. Un clima che è stato sinora oggetto più di caricature e di prese in giro che non di effettiva ricerca, come invece adesso in questo accurato lavoro, che riesce a dare una conoscenza dettagliata di tutta una fenomenologia della quale oggi, rievocandola, emergono tutti i tratti più dannosi. Una sorta di grande “gioco” nel cui ambito i valori perdevano di significato pur di dare una superficiale ed appassionata infarinatura attorno a temi di grande rilievo. Ecco perché poi una intera generazione si è trovata, una volta chiamata alle rami, coinvolta in una mobilitazione di tutte le energie nazionali protese a scontri per i quali non era invece preparata: la vera realtà è allora apparsa nei suoi termini concreti. Le sollecitazioni militariste e patriottiche non servivano più. Le "aquile gloriose" richiedevano impegni e atti ben più impegnativi e drammatici di quanto apparisse nei facili viatici indicati nella stampa per bambini. In particolare il culto del mito, la semideificazione di Mussolini coprivano ben differenti condizioni di vita e di organizzazione. Gibelli dimostra grande capacità di muoversi nel dedalo di tante riviste, in iniziative e attività scolastiche e paramilitari, riportando una amplissima casistica di situazioni nelle quali gradualmente si fa luce cosa vi fosse dietro quelle costruzioni di frasi fatte, di falsificazioni, di inganni. Il parossistico tripudio della propaganda fascista si risolverà nel suo opposto: la guerra, inasprendosi nei vari fronti, metterà a nudo l’irrealtà delle visioni rassicuranti che avevano ovattato infanzia ed adolescenza di milioni di italiani. Merito del libro è saper porgere tutto questo insieme di problemi molto più seri di quanto il regime facesse credere con una descrizione, a tratti curiosa, a tratti non priva di suggestioni, sempre rigorosa nella documentazione rigorosamente presentata. Gibelli dà una dimensione capovolta al rispecchiamento continuo tra iconografia e apparenza da un lato e, dall’altro, un vuoto che non riuscirà a nascondere sconfortanti condizioni, alle quali balilla e giovani camicie nere non potevano sottrarsi. In uno degli ultimi capitoli vengono delineate le figure contrastanti dei piccoli partigiani e dei ragazzi di Salò, entrambi frutti di quel tipo di formazione così accuratamente spiegati in un’opera che aiuta a comprendere il fenomeno del ventennio fascista più di tante ampollose opere non in grado, come questa, di penetrare nell’intimo del modo di formazione di quella generazione che era infelice e non sapeva di esserlo.