Alessandro Campi e Angelo Mellone in La destra nuova (Marsilio, Venezia, 2009) hanno raccolto una serie di saggi sui partiti della destra come si presentano oggi nei paesi dell’Europa occidentale. Sono sistemi democratici nei quali mentre la “nuova “sinistra” ha rivelato subito i suoi limiti, la “nuova” destra è riuscita a cavalcare il neo-liberismo, qualificandosi quindi con carattere completamente diverso dal passato e quasi come un fattore di modernizzazione. Crollato lo stampo conservatore – scrivono i due studiosi nell’introduzione – sono stati gli “animal spirits” del capitalismo a prendere il sopravvento, dotando le nuove formazioni di un “di più” rispetto ai tradizionali partiti della democrazia corrente.
Esperienze diversificate e non riconducibili ad un unico modello. In Francia (per la quale poi ricerche specifiche sono condotte da Sofia Ventura, molto attenta alle vicende del “partito del presidente” e da Marcello Foa, che analizza gli aspetti “mediatici” del fenomeno), una destra non più imperniata sui privilegi e la rendita bensì sul dinamismo delle nuove realtà, superando gli stessi precedenti sia gaullisti che estremi lepenisti per cercare di valorizzare da un lato l’integrazione (senza di cui non avrebbe avuto fortuna lo stesso Sarkozy) l’altro il riconoscimento di una autorità con funzioni protettive nei confronti dei cittadini. In Gran Bretagna è stato il conservatore Cameron a rinnovare il suo partito, modificandone le basi culturali ed economiche (crescita produttiva e lotta alla povertà), richiamando concetti comunitari.
Altra simbolica esperienza quella svedese, dove Reinfeldt è riuscito a battere i socialdemocratici, grazie ad una alleanza tra moderati, democratici cristiani, liberali e centristi: così lo “stato sociale” creato dai socialdemocratici è stato modificato e corretto con la valorizzazione della e produzione nazionale, del “merito” e un pragmatismo diretto anche alla garanzia dell’ordine. Quindi – sostengono i due studiosi – in sostanza un richiamo evidente alla identità dei rispettivi paesi, considerazione rivolta poi al caso italiano con il “riposizionamento” di Fini e il pensiero economico di Tremonti accompagnato dalle tesi tradizionaliste esposte in “la paura e la speranza”.
Inoltre da sottolineare l’attento studio elettorale di Luigi Di Gregorio sul Regno Unito nelle due differenti fasi del bipartitismo e della successiva frammentazione partitica con il maggior peso delle formazioni minori, specie liberal-democratici, con le diversità tra Inghilterra, Scozia e Galles. Interessante il fenomeno degli esiti disproporzionali nella distribuzione dei voti. Kieron O’ Hara si occupa specificatamente delle cause che spiegano il successo di Cameron mentre il giornalista Nicholas Jones sottolinea l’influenza della “blogosfera”, un fattore che peserà sempre di più nella vita politica. E, tornando alla Svezia, il ricercatore Goran Von Sydow, spiega i mutamenti intervenuti nel sistema politico con i nuovi moderati e l’alleanza per la Svezia che fanno risaltare le nuove strategie del centro-destra.
La personalità del nuovo leader e primo ministro Reinfeld è presentata da Nikolas Ekdal mentre Maria Rankka analizza come le novità del centro-destra inseriscano nella costruzione social-democratica che ha consentito uno sviluppo del libero mercato e che adesso il centro-destra rafforza con la deregolamentazione dei monopoli nazionali dell’elettricità e del telefono. Infine Frederilk Haage fa rilevare come gli spostamenti più cospicui siano determinati da fattori esterni all’economia. Così i cristiano-democratici hanno migliorato le loro posizioni elettorali, giovandosi della capacità di richiamare elementi valoriali rispetto alla assuefazione di segno materiale. I liberali dal canto loro hanno richiamato il senso del “dovere” e hanno formulato proposte concrete. Aggiungiamo che uno sguardo alla vicina Norvegia avrebbe consentito di rilevare il peso sempre maggiore dei valori della legalità e della equità nei trattamenti fiscali.
La lettura di questo libro s’impone soprattutto agli italiani che, dopo 15 anni, non sanno comprendere ancora le ragioni del successo del berlusconismo. La responsabilità individuale appare oggi più necessaria del messaggio collettivo quale mezzo per meglio garantire la stessa libertà. Un monito da tener presente.