Adalberto Baldoni e Sandro Provvisionato presentano in Anni di piombo (Sperling & Kupfer, Milano, 2009) uno spaccato dell’Italia lacerata da una forma di guerra civile strisciante tra estrema destra ed estrema sinistra mentre le istituzioni democratiche minacciavano di cedere al di là della volontà dei governanti.
L’analisi spiega il “nodo della violenza”, centrando l’attenzione sugli episodi più sanguinosi a Milano e a Primavalle. In effetti – anche si parlava di gruppi “rivoluzionari”, la situazione non presentava alcuna possibilità di sbocco insurrezionale. Infatti punto centrale della contrapposizione non erano fattori sociali ed economici, bensì l’arroccamento alle rispettive estreme, osserviamo, su posizioni strettamente minoritarie e quindi estranee agli interessi sia delle masse popolari che dei cosiddetti poteri forti. Non certamente artificiale, ma certamente “movimentato” dalla capacità provocatoria di entrambe le ali. Basti pensare al peso del movimento del ’77 – giustamente richiamato dagli autori – espressione di un rinnovamento generazionale e di emergenze psicologiche e di costume: la violenza del linguaggio rafforzava la violenza dei fatti. Una parte dell’estrema destra facendo proprio la lotta armata indeboliva la destra missina, in quanto rimetteva in circolazione virus dai quali la società italiana aveva cercato di liberarsi. All’altro lato l’estrema sinistra, fautrice della violenza, metteva a rischio la lunga operazione del partito comunista per stabilizzarsi nell’area democratica. Sono illustrati ampiamente passaggi e figure significative, come nel caso di “terza posizione” e dei Nar, ed altrettanto per l’ “autonomia”, specie quella romana.
Il caso Moro chiama in causa ben altre responsabilità, dai particolari dell’agguato a Via Fani (si cui non si è mai fatta piena luce), dagli scambi di comunicati e lettere ai depistaggi, ai rapporti tra “brigatisti” e “movimento”. Forse si è preferito troppo glissare, da parte degli autori, circa i “mandanti” dell’operazione, accreditando così la tesi, a noi sembra, di un ruolo primario esclusivo dei rapitori dello statista. Gli autori si soffermano piuttosto su altri eventi ed episodi spesso meno conosciuti ma che rivelano entità ed estensione dei fenomeni criminali allora in atto. Dal caso Peci al ruolo ambiguo di Senzani vengono individuati alcuni elementi di grande risalto, sino al mistero Moretti e alle operazioni brigatiste successive, con il richiamo alle “venti tesi” elaborate dalle BR alle fine degli anni ’80.
Arriviamo così al capitolo delle stragi: e viene sottolineato come i depistaggi e le risultanze dei processi abbiano creato un ulteriore confusione, dalle quali si sono giovate quelle articolazioni dei “servizi” più compromessi. Contaminazioni tra organi statali e criminalità, legami dei brigatisti con gruppi stranieri, azioni dei terroristi, ruolo dei centri sociali, sino all’esplosione dei no-global, che a noi sembrano richiamati a torto perché quest’ultima esplosione si riconnette a situazione e conflitti di natura completamente diversa rispetto ai fatti precedenti. Anche il “nuovo” terrorismo internazionale ha differenti origini, in quanto legato al “gioco” di forza ben più consistenti.
Rilevata, infine, l’ampiezza della bibliografia, riteniamo che il libro possa essere utile per una ricapitolazione degli eventi che non per aprire minimi spiragli in più per la comprensione degli eventi stessi, anche perché il materiale esposto è esclusivamente quello giornalistico, sapientemente usato, ma insufficiente ai fini di una più completa conoscenza di quegli anni terribili.