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Mi rivolto, dunque siamo. Scritti politici di Albert Camus (Editrice Eleuthera 2008)

CAMUS PER LA PACE E CONTRO IL TOTALITARISMO

Lo scrittore della rivolta si fa qui poeta del dovere della rivolta.
lunedì 23 febbraio 2009 di Carlo Vallauri

Argomenti: Politica
Argomenti: Recensioni Libri
Argomenti: Vittorio Giacopini


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L’editrice Eleuthera presenta Mi rivolto, dunque siamo. Scritti politici di Albert Camus (2008) a cura di Vittorio Giacopini. Lo scrittore della rivolta si fa qui poeta del dovere della rivolta. Sono brevi scritti degli anni del dopoguerra, raccolti per denunciare le violenze politiche e il socialismo mistificato dai sovietici. Egli considera l’Europa e l’Occidente come una sola nazione nella quale una minoranza armata minaccia di conquistare il potere. Una rivoluzione “ o si farà su scala internazionale o non si farà”. Un nuovo ordine non può essere solo nazionale o continentale ma “deve essere universale”.

Altro aspetto richiamato è l’esigenza urgente, per prima cosa, di internazionalizzare i mezzi di produzione (petrolio, carbone e uranio), la strada a suo tempo indicata – osserviamo – dall’Internazionale Socialista di Amsterdam. L’organizzazione del mondo – oggi (e usiamo il presente perché riteniamo tuttora attuali le sue osservazioni) è indispensabile per “creare” i presupposti della pace. Se i governi sono retti sull’omicidio, logico che all’interno dei singoli paesi domini la criminalità. È ancora possibile salvare la pace – si chiedeva Camus nel ’48. Egli nutriva fiducia nel “dialogo”. Certo i fatti, da allora, sono stati crudeli, e proprio la Francia in Algeria tutto mostrò fuorché la volontà del dialogo. Le ingiustizie denunciate sui crimini in Spagna nel ’36 – si legge – suscitano ancora sdegno. E nel rispondere ad alcune critiche mosse al suo “Lo stato d’assedio” lo scrittore rileva la necessità di battersi contro lo Stato ed il potere totalitario. “Per noi gente più semplice, il male dell’epoca si definisce per i suoi effetti, non le sue cause, e questo male si chiama Stato poliziesco o burocratico” che prolifica, sotto i più diversi pretesti ideologici: esso “costituisce un pericolo mortale per ognuno di noi. La tecnica totalitaria con le sue armi ed i suoi metodi è oggi – come nel ’36 – il nemico da combattere.

E la pace – aggiunge – “ha gli stessi inconvenienti dell’amore”: si chiede di sapere cos’è e poi, alla prova dei fatti, sopravviene la guerra che minaccia di essere sovrastante, dominante. Per troppe persone la sola pace possibile è quella “americana”, per tanti altri quella “sovietica”. Una concezione del genere accresce i rischi di guerra. E la pace ci concede ancora una possibilità di vedere riparate tante ingiustizie,mentre le guerra non lascia immaginare alcuna pausa. Nel 1953 i moti operai a Berlino Est rivelano a quale punto sia giunta la repressione comunista: e Camus si chiede come si possa ancora, con il proprio silenzio, accettare l’uccisione di operai, il cui solo delitto è stato di essersi ribellati ad una condizione materiale insostenibile. Oggi noi sappiamo che molti anni ancora si dovranno attendere, molti altri misfatti essere compiuti perché Berlino possa diventare simbolo di amicizia e di pace.

 

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