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L’eredità del fascismo (Bollati Boringhieri, Torino, 2008)

L’EREDITA’ IRRISOLTA TRA FASCISMO E DEMOCRAZIA

Una storia non chiarita
martedì 17 febbraio 2009 di Carlo Vallauri

Argomenti: Storia
Argomenti: Luca La Rovere


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La tragedia del fascismo si è consumata tra il 1940 ed il ’45, con gran parte dei giovani italiani dispersi e sacrificati nei tanti fronti che Mussolini correva a creare, aggredendo popoli e diventando così l’Italia lo Stato che in quei 5 anni ha dichiarato più guerre, a quasi tutto il mondo, a tutte le nazioni di entrambi gli schieramenti.

E gli anglo-americani nel risalire dalla Sicilia per tutta la penisola sino alle Alpi, per distruggere la macchina militare tedesca, hanno dovuto usare incessanti attacchi aerei e potenti cannoni, causando rovine immani specie nell’Italia centrale e meridionale, oltre che in centri del nord, mentre in parte si sono salvate le industrie che sino all’ultimo hanno lavorato per i nazisti.

Al termine di quella esperienza i rappresentanti dei gruppi democratici impegnatisi nella Resistenza da Napoli e dall’Abruzzo sino ai monti e alle vallate del Nord, hanno iniziato un cammino per la ricostruzione che ha dato subito risultati positivi. Ma le coscienze e la vita di tutti, fascisti e anti-fascisti, valorosi o voltagabbana, non potevano non rimanere scosse.

L’eredità del fascismo (titolo del libro di Luca La Rovere, Bollati Boringhieri, Torino, 2008) costituisce una espressione tra le più complete sin qui pubblicate sul drammatico evolversi dello stato d’animo dei fascisti, sia di quelli rimasti immobili all’immagine del duce-padre, sia quelli che hanno avvertito per intero l’inganno subíto e si sono, in diversi modi, ricollocati sul piano politico e personale.

L’autore – già autore di un validissimo studio sui Guf – segna qui, pagina per pagina, il lungo resoconto di quanto i vari tipi umani di post-fascisti hanno detto e scritto, molti rimangiandosi i loro precedenti giudizi, altri internamente scossi, avviati sulla strada di un ripensamento sincero, altri approfittatori prima con il regime e poi di nuovo esibendo nuove etichette.

In effetti ogni passaggio psicologico delle persone interpellate e delle quali esistono testimonianze significative è raccontato con annotazioni critiche, inserite nei vari modelli “generazionali” e personali che ne sono venuti fuori.

Rispetto ad altri libri del genere – e specificatamente p.e. ali studi di Giuseppe Parlato – tra i più pertinenti e precisi sul delicato argomento – la ricerca del giovane docente dell’università perugina ha un carattere di approfondimento nel delineare tutti i contraccolpi morali e politici sorti da quei trapassi psicologici e motivazionali.

Se andiamo così a vedere le varie esperienze e tesi, dal “tradimento”, all’ “inganno”, sino al rovesciamento delle posizioni personali e al reinserimento, dalla rettorica fascista a quella antifascista, si avverte una connotazione tipica che unisce tante diverse collocazioni, ed è – a nostro avviso – la volontà di distinguersi, nel non voler essere etichettati in determinati schemi, per affermare invece la propria autodeterminazione. La pressione degli eventi, l’ultimo richiamo alle armi (da entrambe le parti), il sangue dei vinti e dei vincitori, le illusioni svanite, le nuove speranze, presto inaridite, costituiscono una lunga sequela di avvenimenti che restituiscono alla società italiana persone in gran parte mutate, ma tutte deluse, insoddisfatte.

I tentativi di “recupero”, le giustificazioni addotte, i rivolgimenti ciclici, le polemiche postume, i ragionamenti sovrapposti alle emozioni intime o viceversa, indicano percorsi di tormento, di dolore, come di ansie, timori, giustificazioni, che complessivamente restituiscono individui meno autentici di quando sono partiti per le armi o per l’ultima avventura, sono corsi in montagna e si sono difesi dagli scomodi alleati. Forse nel leggere tanti esempi di espiazione o di interna sofferenza o di pessima riproposizione di ciò che non è stato le figure che escono più nitide appaiono da un lato i combattenti per la libertà dall’altro quegli ex fascisti che hanno preferito, soffrendo, rimanere appartati anche se singolarmente avevano dovuto o saputo compiere le proprie scelte nei momenti culminanti – senza discorsi complicati o tante preoccupazioni di essere all’ “altezza” della nuova situazione.

Tra le tante testimonianze riportate nel libro hanno dato a noi impressione di sincerità alcune persone, politicamente meno in vista, come Adolfo Klitsche de la Grange con la sua volontà di contribuire a formare una opinione pubblica cosciente, o coloro che hanno scelto la ricerca di una maturità interiore come Massimo Pallottino, Oreste Del Buono, Vittorio Zincone (autore di una delle analisi più coerenti e precise), Alberto Caracciolo (lo studioso di cui ignoravamo tutto, avendo presente solo il suo omonimo, storico), Telesio Olivelli.

Tra le più serie riflessioni rimane sempre valida la serie di testimonianze raccolte da Alfassio Grimaldi. Molto chiaro il significato del pensiero di Moro, il suo riserbo iniziale, le sue incertezze sulla nuova Italia, attentamente vagliate da La Rovere, indici di una graduale conquista individuale di una nuova maturità politica.

Interessanti le osservazioni di Silone, la cui direzione dell’Avanti! segnò un momento di particolare creatività interpretativa. E forse andava in proposito ricordata anche la collaborazione di ex giovani fascisti a “L’Italia socialista” di Vittorelli dopo la fine dell’ “Italia libera” e la successiva conversione con Umberto Serafini di “Comunità” nonché il gruppo di Ravenna e Benevento sino alla nascita della UIL.

Meno convincente – e condividiamo le critiche di fondo di la Rovere – il tanto conclamato libro di Zangrandi la cui esperienza è parsa piuttosto inventata “post”, e tardiva, anche se ben giocata, ma – per chi ha vissuto a Roma quegli anni – manifestazione di uno snobismo cultural-sportivo, tutt’altro che autentica catarsi.

Il passaggio al comunismo conferma le affinità psicologiche tra chi aderisce a pur differenti posizioni di carattere totalitario mentre l’inserimento nel coacervo d.c., tutto sommato, appare quasi più spontaneo perché implicava la rinuncia alla mentalità “totalizzante” con l’accettazione leale della “democrazia”. Perché poi questo è, a nostro avviso, il punto dirimente. La realtà “democratica” (nel suo segno liberale e nel suo coevo socialismo a-comunista) costituisce il vero punto di rottura, di cambiamento: il guaio è che i più accesi e attivi politici invece non scelsero tanto la democrazia quanto un altro punto di vista elitario sfociato nella pratica del partito unico, del conformismo obbligatorio con tutti con gli schematismi, i centralismi, le ipocrisie di rito, di cui subiamo ancora gli effetti. Consigliamo all’autore di rintracciare presso l’Istituto di filosofia del diritto di Giurisprudenza, nell’Università in cui egli insegna attualmente – il libro sui seminari svolti negli anni ’30, vi troverà esposte le differenti tendenze, più individualiste o più collettiviste, già emergenti tra giovani poi diventati famosi, come Gonella o altri, passati al socialismo o al comunismo

Cento e cento altri stimoli troverete in questi libro che ha il pregio di fornirvi amplissimo materiale nel quale poi ciascun lettore darà la propria opinione. La Rovere fa cadere alcuni luoghi comuni malamente acquisiti e va più a fondo nello snidare dalle caverne del passato i mostriciattoli che avevano tentato di nascondersi o camuffarsi. E solo per questo già lo studio merita apprezzamento. Sia consentito infine un richiamo al nostro Soldati (Utet, 2003), in particolare le pagine sul periodo badogliano e sullo stato d’animo degli arruolati nel regio esercito: una esperienza per certi versi, altrettanto significativa, certo più dello scambio di battute e accuse tra “redenti”, parolai e profittatori.

 

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