Fondamentale ricognizione del pensiero laico dell’Italia moderna nel volume curato da Michele Ciliberto Biblioteca laica (Laterza, Bari, 2008).
Lo stesso curatore nell’Introduzione, richiama Machiavelli: “La salute d’una repubblica o d’un regno non è avere un principe che prudentemente governi mentre vive, ma uno che l’ordini in modo che, morendo, ancora la si mantenga”, precisando poi che non conta come la religione nasce, ma il significato e l’ìncidenza che assume nella vita individuale e collettiva d’un popolo quale elemento di vincolo e di riconoscimento di valori comuni condivisi. Quest’ultima era la considerazione che della religione avevano i romani ai tempi di Numa Pompilio. Un vincolo originario nel quale tutti possono riconoscersi e quindi divenuto fattore positivo nel vivere civile. Parimenti valido era stato, secondo Machiavelli, il ruolo di Savonarola nella Firenze dei suoi tempi: una religione capace di coinvolgere i nobili e gli ignobili, i colti e gli incolti, quale strumento di persuasione. L’intreccio tra politica e religione quindi non esclude la funzione di una religione civile.
Ma sarà Vico a sostenere, rifacendosi a Bayle, che una società di atei potrebbe svolgere ogni attività civile e morale come qualsiasi altra società: il fatto di non ignorare l’esistenza di un primo essere creatore e conservatore dell’universo non impedisce ai membri di questa società di essere sensibili alla gloria e al disprezzo, alla ricompensa e alla pena (…) e parimenti anche fra gli atei si potrebbero vedere persone oneste nel commercio, caritatevoli verso i poveri, nemiche dell’ingiustizia, fedeli ai loro amici, incapaci di fare il male.
La lettura di così ampia antologia, come nel caso di questo libro, induce ad approfondire gli aspetti caratteristici impressi alla ricerca. Vanno quindi considerati quali punti del vasto panorama presentino maggior rilievo. Citiamo allora gli scritti di Pietro Pomponazzi (studiati a suo tempo da Bruno Nardi) sulla condizione umana: felicità dell’uomo come autonomia della virtù, ed allora i saggi consigli, ad esempio “meglio attendere a disporre del presente che è in mano tua, non del futuro che è in mano della fortuna”. Lo stesso autore del ‘500 spiegò la nascita e la morte delle religioni osservando che, per compiere tutto il loro corso, “le religioni devono rinnovarsi” attenendosi ai principi, in un costante riferimento alla continuità dei fenomeni.
Da qui l’importanza di G. Filangieri che nella “Scienza della legislazione” seppe antivedere l’esigenza di assicurare l’integrità del corpo sociale mediante il ricorso a “prescrizioni” capaci di regolare i rapporti tra i cittadini: nel realizzare tali ordinamenti “la coazione, la violenza non dovrebbero avervi alcuna parte”. Siamo all’illuminismo, che dal pensatore napoletano seppe trarne opportuni insegnamenti,. Alla stessa epoca e allo stesso ambiente culturale appartiene Antonio Genovesi, di cui viene ricordata – riaccostandosi al nolano Giordano Bruno – la critica della Chiesa romana e del cristianesimo. La vasta antologia passa così da una fase storica all’altra sottolineando il confronto continuo che apre alla “sapienza moderna”. Particolare rilievo assume allora la “difesa della dissimulazione”, sostenuta da Torquato Accetto nella Roma e nella Napoli del Seicento. Come è noto, la dissimulazione quale arma di difesa dal potere è stata ripresa, con sottile ironia, nella fase conclusiva del fascismo da Carlo Muscetta per spiegare i modi con cui gli anti-fascisti cercavano di sottrarsi alle seduzioni del potere totalitario. Forse non elegante, ma indubbio segno di realismo.
La colonna infame di Manzoni costituisce un ulteriore conferma di come sia fallace e illusorio il potere di un’autorità che appare immobile. Ma è Carlo Cattaneo a definire con maggiore modernità i fondamenti del “moderno incivilimento”, rifacendosi a principi ghibellini: beni feudali, unità imperiale d’Italia, avversione alla Chiesa, in contrapposizione ai principi guelfi. Cambiati gli elementi costitutivi, il Dante dei ghibellini viene assunto a modello, e ad esso si richiama Cattaneo nel delineare la laicità civica.
Ed infine Camillo Benso, conte di Cavour, di cui viene riportato il discorso per Roma capitale pronunciato a Torino il 25 marzo 1861. Emergono in quelle alte parole conoscenza storica, chiarezza nei limiti delle posizioni tra Stato e Chiesa. Lo statista piemontese centrò un punto chiave: il Papa sarà molto molto più efficace quando, abbandonando la potestà temporale, avrà sancito una pace duratura con l’Italia sul terreno della libertà, il criterio dal quale è nata l’Italia contemporanea, come troppo spesso viene dimenticato nei palazzi laici romani come nei palazzi religiosi della stessa città. Sono passaggi essenziali della nostra vita d’oggi da tenere presente, e questa Biblioteca ben venga a ricordarlo a troppi italiani immemori.