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Non solo Gomorra, schegge di vita

In un angolo del grande cortile sterrato c’è la “casa del pane”.... Il forno in muratura situato in un altro angolo del cortile, risale agli inizi del 1900......
domenica 22 giugno 2008 di Michela Orefice

Argomenti: Ricordi
Argomenti: Racconti, Romanzi


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Estate 1985. Le tendine verdi sono calate a proteggere la nostra intimità familiare sul piccolo terrazzino, fuori la cucina. Abbiamo appena pranzato tutti e quattro: mia madre, mio padre, mio fratello di quattordici anni ed io, undicenne. Fa caldo in strada, l’asfalto rovente solo più tardi diventerà il terreno di gioco per i ragazzini del quartiere. Non ci sono parchi o spazi verdi nelle vicinanze dove poter giocare. L’unico è la villa comunale di Afragola, dove però si radunano spesso i tossicodipendenti e ci lasciano le siringhe.

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Afragola
Villa Comunale

In sottofondo i rumori delle stoviglie lavate e rimesse a posto nella penombra delle cucine e una radio che trasmette canzoni neomelodiche napoletane. È il mio dirimpettaio, Luigiello, un uomo sui 50 anni pensionato baby per motivi di salute e terribilmente annoiato dalla routine quotidiana. Le sue ore di ozio sono scandite da elefantiaci sbadigli ed intervalli canori. Con lui vive sua moglie, Immacolata, una donna di 40 anni che ne dimostra almeno venti di più tanto è malcurata, ma in fondo “a chi dovrebbe piacere? Un marito lo ha già trovato…”, masticate parole del pensiero femminile rionale. In estate i coniugi posizionano il letto matrimoniale nell’androne del palazzo per stare più freschi, così che il russare di Luigiello raccoglie un discreto e divertito pubblico in strada.

Accanto don Gabriele, benzinaio di mestiere, con sua moglie Ada, florida e bonaria, il ritratto della salute e della sposa perfetta. Talvolta la “benzinaia” (per la proprietà transitiva), mi manda a fare delle commissioni dal coloniali all’angolo della strada parallela alla nostra. “Catia, Caterina! Mi andresti a prendere uno scatolo di Arielle che devo fare il bucato?” ed io lo faccio volentieri, sapendo di ricavarne una golosa ricompensa. Al primo piano dello stesso stabile c’è la figlia, Lidia, da poco tornata a vivere in paese da noi, dopo una parentesi modenese durata pochi anni, troppo pochi perché la civiltà settentrionale potesse intaccarla. Le sue urla isteriche risvegliano dal torpore pomeridiano e fanno rizzare i capelli ai destinatari, per lo più i figli o i genitori. Il palcoscenico dal quale tuona con la sua voce acuta è il balcone. Da lí piovono invettive sulla strada e da questa evaporano l’imbarazzo e la rabbia dei familiari a cui sono dirette. Nelle giornate delle grandi pulizie, bisogna stare attenti a non passare sotto il “palcoscenico”, se non si vuole rischiare di essere battezzati con secchiate d’ acqua sudicia che Lidia rovescia giù. Turiddu, il marito di origini sarde, é uno spilorcio opportunista che di professione fa il ragioniere (e che altro poteva fare?). Il figlio, Cristoforo, promette di diventare un rispettabile fannullone che dissiperà tutto il patrimonio accumulato negli anni da suo padre. Sarà proprio la beffa all’ingordigia ed all’avarizia paterna che gli farà guadagnare la rispettabilità della comunità.

Alla destra del nostro edificio, abita la giovane comarella Gina con la sua famiglia. I miei genitori hanno fatto da testimoni al suo matrimonio. Sono persone semplici che lavorano la terra ed ambiscono a dare un futuro sereno ai loro due figli.

Infine, alla nostra sinistra, abita zia Maria, sorella di mio padre, con la sua famiglia. I miei cugini Ezio e Rosaria sono famosi per le grandi feste che organizzano in occasione di compleanni e non solo, con tantissimi invitati, stuzzichini e bibite. Lo spazioso cortile pavimentato col marmo e addobbato per l’occasione, con tanto di faretti e casse enormi per la musica, diventa una vera e propria discoteca all’aperto dove il divertimento è assicurato.

Trascorro buona parte delle mie giornate a casa di mia nonna materna, Luciana. Insieme alle mie due zie più giovani, Rita ed Elena, nonna fa il pane e lo vende al vicinato. In un angolo del grande cortile sterrato c’è la “casa del pane”, una stanza di quattro metri per quattro con accanto il vecchio fienile, dove le ragazze impastano grosse quantità di farina con acqua, sale e lievito naturale ottenuto da una pagnotta di pasta di pane, lasciata a fermentare al buio per alcuni giorni. Gli ingredienti vengono lavorati in delle vasche di legno, le madie, spaziose abbastanza per contenere il grande impasto. Mentre rivoltano la pasta con le loro forti braccia, Rita ed Elena canticchiano dietro alla radio infarinata, appesa ad un chiodo sulla parete; prende appena un paio di stazioni e la manopola del volume conosce solo gli estremi. Ogni pomeriggio, nell’accenderla, si meravigliano che funzioni ancora.

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Pane appena sfornato

La fase successiva consiste nel fare delle pagnotte del peso di un chilo e lavorarle per dare loro la forma a filone. I pezzi di pane vengono poi adagiati in delle casse larghe e poco profonde, anch’esse in legno e rivestite con teli di lino spolverati di farina gialla, per evitare che l’impasto si attacchi. Dopo averlo coperto con un altro telo, il pane viene lasciato lievitare per l’intera notte. La sveglia suona al mattino presto, prima ancora che spunti l’alba.

Il forno in muratura situato in un altro angolo del cortile, risale agli inizi del 1900. Mio padre ha dovuto restaurarlo un paio di volte. Dentro ci stanno circa trenta pezzi di pane da un chilogrammo ciascuno. Dalla bocca del forno divampa il fuoco alimentato da gusci di nocciole e cartoni, la temperatura delle pareti interne deve salire per poter cuocere il pane. Le ceneri ardenti verranno spazzate via con un’apposita scopa inzuppata d’acqua, affinché il letto del forno sia adeguatamente pulito. Le zie adagiano la prima delle casse di legno in cui il pane ha lievitato su di un tavolo posto vicino al forno. Stringendo in mano la parte di telo adiacente il pezzo di pane, lo strattonano per farlo staccare in un sol colpo dal telo e finire in un vassoio. Il pezzo di pane verrà poi adagiato dal vassoio sulla pala ed infornato.

 



  • Non solo Gomorra, schegge di vita
    31 luglio 2008, di Cesco

    Complimenti per il racconto ma la monezza sulla strada dell’ Ikea l’hanno raccolta?? E i nomadi sotto il ponte??? Ma mettete ancora i sacchetti appesi ai balconi ad Afragola???L tu che sei brava nel raccontare lo sei sempre stata, sei una mancata attrice, magari in un altra vita!!!ciao F.B: