Certamente l’Italia non ha tradizione di destra nel Novecento paragonabile alla Francia di De Gaulle, eppure da Chirac a Sarkozy quella linea, oltre le Alpi è rimasta vincente a lungo.
Eric Brunet, osservatore attento dei fenomeni politici ed istituzionali, ha pubblicato Etre de droite. Un tabou francaise ribattezzato nell’edizione italiana curata da Angelo Mellone in Il tabù della Destra. La Francia ha Sarkozy e l’Italia? (Castelvecchi, Roma). Già quest’ultima espressione sembra quasi esprimere un rammarico.
L’autore illustra con dovizia di argomenti e citazioni l’intensa azione polemica condotta da decenni contro tutti coloro che non condividono idee e atteggiamenti contrari alla sinistra, in una continuità che si è sviluppata dal ’68 in poi. La differenziazione sempre sostenuta tra nazismo e comunismo, come se solo il regime di Hitler si fosse macchiato di crimini orrendi, risparmiando invece i campi di concentramento e gli stermini compiuti dalla Russia sovietica è indicata come un meccanismo mentale che ha travolto e negato la realtà, pur di negare qualsiasi spazio di azione e prospettiva politica agli avversari dichiarati del comunismo.
Naturalmente non è criticamente valida l’aritmetica comparativa che sottolinea come cento milioni sarebbero state le vittime dello stalinismo e venti quelle del nazismo, ma è altrettanto inaccettabile – afferma l’autore – la tesi della stampa comunista francese secondo la quale in Urss non sarebbero mai esistiti campi di sterminio oppure la distinzione secondo la quale all’origine del nazismo c’è stato l’odio mentre all’origine del comunismo vi sarebbe stato “l’amore per l’umanità”. Come si vede comparazioni e contrapposizioni non sostenibili su un piano di riscontro storico. Piuttosto l’autore tiene a mettere in rilievo come la cultura francese abbia abbracciato, senza un minimo di osservazione critica, le grandi illusioni del Sessantotto e si sofferma sull’ostracismo decretato nei confronti di scrittori (ad esempio Anouilh) accusati di collaborazionismo ai tempi di Vichy.
Queste indicazioni rendono evidenti situazioni tipiche della Francia e che sono all’origine di temperie politiche e culturali dalle quali è scaturita una serie di esperienze indicative di un clima culturale. Brunet spinge il suo sguardo sino ai problemi della povertà, dal Vietnam agli Stati Uniti e, riportando dati precisi sulla qualità della vita nei diversi paesi, rileva come si tendono a diffondere nella società americana informazioni esagerate in senso negativo, anche se precisa che non vi è nulla di idilliaco. Interessanti anche le osservazioni sulle ripercussioni del conflitto tra Israele e Palestina, con particolare riferimento alla presentazione degli arabi come le uniche vittime di quella situazione.
Nelle pagine finali del libro vengono riportate le opinioni di Oliviero Diliberto sulle differenze tra Italia e Francia in merito ai rapporti tra Destra e Sinistra. L’esponente comunista nega che la “cultura” in Italia sia in mano alla sinistra, anzi tiene a rilevare che la vittoria del berlusconismo è stata una vittoria “culturale” perché ha influito utilizzando il proprio sistema di valori attraverso la fiction.