Dal catalogo della mostra
LA CAPITALE A ROMA – CITTÀ E ARREDO URBANO FRA IL 1870 e IL 1914
PALAZZO DELLE ESPOSIZIONI 2 ottobre – 28 novembre 1991
Stralcio dall’articolo di Gianna Piantoni, riguardante il periodo in cui è stato sindaco Ernesto Nathan
…….. Il dibattito critico sul linguaggio "celebrativo". di cui abbiamo fatto cenno, testimonia. tuttavia, anche se in modo larvato. alla consapevolezza (delle difficili questioni specificatamente ’visive’ connesse alla scultura. Lo stesso Benedetto Croce. che fece parte della Commissione reale per il Monumento a Re Vittorio Emanuele. anche se per breve periodo, in una lettera del 1907 al Ministro dei Lavori Pubblici. Emanuele Gianturco, esprimeva un netto giudizio negativo sulla edicola della statua di Roma. affiancata ai bassorilievi realistici, la Breccia di Porta Pia e Il Plebiscito. ancora in discussione. soprattutto negli ambienti politici-amministrativi. "considerandola affatto sconcordante col carattere classico del monumento" Le polemiche che. dunque. si focalizzarono sull’altare della Patria. si riflessero anche in altre opere decorative di quel periodo: Ferrari impegnalo nel Monumento a Mazzini. come abbiamo visto. muta l’impostazione del progetto. ideando un Mazzini, nume tutelare della Patria, seduto all’interno di un tempietto, circondato da un boschetto di lauri, mentre per il basamento realizzava un fregio continuo. nel quale per la prima volta appariva una interpretazione più ’idealistico-simbolica’ di emblematici momenti della storia del pensiero mazziniano.
La composizione. a quanto è dato di vedere nelle rare riproduzioni dei gessi originali. presentava un modellato vigoroso, che rielaborava. nel contesto allegorico-simbolico, accenti di un realismo quasi espressionista, carattere che nella traduzione in un marmo più tarda, si sono notevolmente affievoliti.
Anche le vicende del concorso per i quattro gruppi decorativi del Ponte Vittorio Emanuele e le scelte della commissione di cui faceva parte Ferrari, testimoniano la volontà di privilegiare l’interpretazione allegorico-simbolica delle quattro Virtù del Re. Il Padre della Patria di Cesare Reduci, completato da Edoardo Rubino: Fedeltà allo Statuto, di Giuseppe Romagnoli Il Trionfo Politico, di Giovanni Nicolini; Il valore Militare, di Italo Griselli furono i temi fissati per i monumentali gruppi, commissionati quali arredi celebrativi del nuovo ponte che simbolicamente univa e, insieme contrapponeva la Terza Roma alla Città del Vaticano.
La decorazione del ponte come altri edifici e monumenti. Lo stesso Monumento a Vittorio Emanuele, doveva presentarsi finita per la inaugurazione della Esposizione Internazionale del 1911, indetta per celebrare il Cinquantenario dell’Unità e per presentare sulla scena europea l’Italia giolittiana.
L’Esposizione del Cinquantenario, nella sintomatica suddivisione delle sedi a Torino. l’esposizione industriale a Roma quella artistica sanzionava la volontà politica governativa e comunale di presentare la Capitale come "ideale città dell’arte nel contesto della più vasta celebrazione sul piano internazionale delle conquiste economiche, scientifiche. tecnologiche dell’età giolittiana. Negli anni fra il 1904 e il 1907 era maturato il cosiddetto blocco popolare. come abbiamo già ricordato. creando nel Comune di Roma, una solida coalizione fra l’area democratica laica e popolare e fu nominato sindaco Ernesto Nathan. L’Esposizione fu preparata in clima anticlericale, dichiaratamente espresso dallo stesso Nathan Di conseguenza. nei comitati per l’organizzazione della mostra internazionale d’arte ebbero rilevante autorità i rappresentanti della cultura romana, militanti o gravitanti all’interno di tali schieramenti. primo fra tutti. Ettore Ferrari. Accanto alle iniziative di modernizzazione della città si volle dare ampio spazio alla vasta operazione di ’decoro’ che interessò il compimento di opere già iniziate. Punto nevralgico ancora da sistemare era la Piazza Termini. dove era stata prevista fin dal 1862, la costruzione di una Mostra d’acqua dalla Società dell’Acqua Pia. Il luogo era già stato individuato nel ’69 come pure la forma circolare. in corrispondenza dell’esedra delle Terme di Diocleziano. Solo nel ’96 il Comune, rescisso il contratto con la Società, poté affidare l’incarico di progettare una fontana monumentale allo scultore Mario Rutelli. La decorazione consisteva in quattro raffigurazioni di ninfe coriche e il progetto fu in breve tempo approvato da una commissione, costituita dall’architetto Koch e dagli scultori Ferrari e Monteverde.
L’interpretazione neo-rinascimentale. unita ad una sensualità naturalistica di gusto Liberty, proposta da Rutelli, come e ormai noto, suscitò violente reazioni, a cui si vollero dare moventi di carattere politico. Quando nel 1901 si tentò di inaugurare "il gigantesco calamaio di cocotte intellettuale (...) i clericali protestarono contro l’inverecondia liberalesca.
Solo nel 1911 si poté presentare al pubblico la fontana con il gruppo centrale provvisorio, un intricato svilupparsi a spirale di figure e animali, in seguito sostituito, su suggerimento dello scultore Monteverde, con l’attuale figura del Tritone.
Ma fu la decorazione scultorea ideata a profusione per i vari edifici effimeri e non, costruiti nell’area dell’Esposizione fra Piazza d’Armi e Vigna Cartoni, ad essere il punto di arrivo e insieme la fine del messaggio politico celebrativo che la Capitale intendeva trasmettere sul piano nazionale e internazionale. Coordinatore della vasta impresa fu nominato lo scultore Giuseppe Guastalla, collaboratore di Ferrari, il quale impegnò uno stuolo di artisti e decoratori, alcuni di questi ultimi ancora poco noti, ma, da quanto si arguisce, non privi di abilità ed esperienza dei materiali.
A quanto si legge sul Giornale ufficiale dell’Esposizione, gli apparati decorativi dovevano differire dalle altre iniziative del genere e non presentare una fiera di modelli di diversi stili bensì "la solida nobiltà e la opulenza fastosa delle grandi epoche romane (...) ispirati alle somme architetture classiche ed eseguiti con rara maestria nell’imitazione della pietra, hanno tutta l’apparenza di veri e propri monumenti". Non tutti gli edifici erano effimeri: il Palazzo delle Belle Arti fu costruito per diventare sede della nuova Galleria d’Arte Moderna. Costruito dall’architetto Cesare Bazzani doveva costituire il centro di una vera e propria città dell’arte, con una mirabile espansione all’esterno tramite una complessa articolazione di giardini, una grandiosa scalinata con la funzione di raccordare il Palazzo all’ingresso d’onore sulla sommità della collina antistante. Quasi una soluzione esemplare di `arredo’ urbano ideato organicamente con l’edificio stesso. La decorazione della facciata, inizialmente prevista dall’architetto, consisteva in un fregio, all’interno del pronao, e da quattro statue raffiguranti l’Architettura, la Pittura, la Scultura, e la Decorazione. Significativa la presenza della Decorazione, considerata a parità con le arti cosidette maggiori secondo le recenti teorizzazioni della cultura modernista, ma qui celebrata per la sua funzione civile dalla cultura neo-rinascimentale romana.
In seguito come appare da altri studi, si pensò di estendere i fregi scultorei anche sulle parti laterali. Verosimilmente ciò fu suggerito dalla commissione nominata per sovraintendere i lavori, di cui facevano parte Ettore Ferrari e il pittore Aristide Sartorio, che da poco aveva compiuto il fregio di Palazzo Montecitorio. Intervenirono, con tutta probabilità, nella iconografia e nella scelta degli artisti: Giovanni Prini che eseguì il fregio sotto il portico L’artista e le battaglie artistiche, Ermenegildo Luppi con Il corteo della Bellezza e della Forza sul lato sinistro della facciata e Adolfo Laurenti con Il corteo della Vita e del Lavoro sul fianco destro. Coronano la facciata quattro statue raffiguranti la Fama di Candoni e Pantaresi. Del gruppo di artisti, Giovani Prini è la personalità di maggior rilievo, a contatto con la parte più innovatrice della pittura romana contemporanea, Cambellotti e Balla. Richiami iconografici classici e cinquecenteschi sono rielaborati in una ritmica composizione in cui insieme ad un morbido modellato delle figure si tende ad una esaltazione geometrico-lineare delle forme.
La decorazione scultorea del Palazzo delle Belle Arti, che sarà oggetto di un futuro studio, può essere considerata quale conclusiva esaltazione della centralità dell’arte anche come celebrazione all’interno della società giolittiana, confermando il primato culturale romano nelle sue matrici classico-rinascimentali. Con le feste commemorative del Cinquantenario dell’Unità un arco della storia culturale italiana si chiudeva. Gli scultori chiamati alla vasta impresa decorativa, espressione della cerchia laico-massonica, celebrarono qui i vecchi ideali risorgimentali rivissuti in un esaltato clima nazionalista.