Merito di Ugo Mancini è aver affrontato il tema che dà titolo al suo libro Il fascismo dallo Stato liberale al regime (Rubbettino, 2007, Soveria Mannelli) con l’occhio disincantato di chi non muove da pregiudiziali ideologiche ma esamina il susseguirsi di fatti sulla base di una scrupolosa ricerca negli archivi , nella stampa, in precedenti pubblicazioni.
Così il lettore può seguire il passaggio dalle strutture che non si erano mostrate all’altezza della situazione nell’immediato dopoguerra a quelle che verranno gradualmente erette nello sfiancamento delle vecchie elites dirigenti nelle varie realtà amministrative. L’A. si sofferma sui famosi “fiancheggiatori” delle prime esperienze governative di Mussolini. Si formò così un insieme di apparati gestiti nominalmente secondo le direttive fasciste ma di fatto in continuità con il ceto economico determinante. Interessanti e non conosciuti i numerosi dati raccolti in differenti contesti, specie nei Castelli romani.
Il secondo tema studiato riguarda l’originale orientamento verso un mercato “manchesteriano”. La restrizione nei consumi alla fine degli anni ’20 rese vari gli sforzi governativi diretti a favorire gli investimenti. Quella prima esperienza mise a nudo le difficoltà emerse con le pratiche protezioniste e l’aumento del costo della vita. Lo stesso tentativo di trovare una spinta nella sistemazione istituzionale dei sindacati fascistizzati rivela il crescente distacco di molti cittadini dal regime in costruzione. In effetti erano le opzioni di Mussolini a dare maggior peso agli interessi delle classi padronali, favorendo gruppi di potere finanziario mentre la disoccupazione aumentava. Nel ’27 la scelta della deflazione, con la riduzione degli stipendi e dei salari, nella speranza di pervenire alla rivalutazione della lira, si scontrò presto con il malessere dei ceti operai e contadini. Molto precisa la documentazione fornita in proposito da Mancini grazie a ricerche su ampio raggio. E gradualmente si vanificò il sostegno che Mussolini intendeva dare alle campagne perché – al contrario dell’industria – l’agricoltura non riuscì a modernizzarsi, costretta com’era nella totale subordinazione agli interessi agrari. Fenomeni questi che generano la complessiva stagnazione dell’economia.
Sul piano al “consenso” risulta evidente come si andasse preparando un “doppio gioco tra esteriorità fascista ed intimità antifascista”, secondo la versione esposta negli anni scorsi da P.G. Zumino, anche se – a nostro avviso – questo fenomeno avrà luogo più nel decennio successivo. Particolare attenzione l’A. presta al corso degli orientamenti in seno allo stesso movimento fascista che non può non risentire del malessere che si va allargando nei diversi ceti sociali. Quanto all’opposizione, Mancini spiega dettagliatamente le vicende dei nuclei operanti contro il regime che, frammentati, nell’impossibilità di far conoscere le proprie posizioni e la loro stessa esistenza, andarono indebolendosi. I cattolici, malgrado i frequenti richiami alla inaccettabilità delle idee fasciste, si trovano irretiti da atteggiamenti ufficiali della Chiesa che di fatto accettano le nuove realtà. Sequestri di giornali, arresti, repressione sistematica disperdono i nuclei socialisti mentre i comunisti trasferiscono all’estero i loro elementi di punta. Si diffonde quello che l’A. definisce “antifascismo esistenziale”, cioè prepolitico.
È evidente quindi come il libro esprima una prospettiva circostanziata del progressivo inasprirsi delle reti di controllo, anche se non vengono meno motivi di dissenso e malcontento. Ricerca da apprezzare per la vasta area di verifica delle linee portanti di una indagine più penetrante di tanti altri testi ormai del tutto ripetitivi.