Come già in un suo precedente scritto sulle libertà negate in Italia, il prof. Michele Ainis spiega, da perfetto conoscitore delle nostre istituzioni, in Stato matto (Garzanti, Milano, 2007) la condizione di massimo degrado cui è giunto uno Stato ormai privo di una sua vitale efficienza.
L’analisi è ampia nella disamina delle articolazioni pubbliche, e nello stesso tempo dettagliata man mano che l’autore procede sui singoli argomenti. E si comincia dal le stesse incongruenze nella legislazione (basta leggere la gustosa voce “commi” o “deroga”, o “bestie”, dedicata ad una serie di norme previste per le razze canine). Dalle carceri ai contenuti privilegiati accordati alla Chiesa, ai costi della politica con la piaga dei “consulenti” oltre che degli amministratori degli enti regionali e locali. La crisi – emerge chiaramente in questo studio – riguarda il regime come la stessa configurazione del governo.
Sul piano del rapporto cultura-politica Ainis denuncia metodi che anziché arricchire le espressioni artistiche e scientifiche cercano di ancorarle al sistema partitico. Tanti anni fa – ricordiamo – contro una proposta del ministero del Bilancio per rendere trasparenti i contributi accordati dalle varie istituzioni pubbliche, onde impedire che Stato, regione, provincia e comune accordassero analoghe sovvenzioni ad una stessa iniziativa: allora si sollevarono obiezioni di carattere pratico, adesso con le nuove tecnologie, è possibile invece la immediata conoscenza di una elargizione per bloccare ulteriori “sussidi” alla medesima persona, fondazione e istituto vicino al potere, una concreta parità tra i cittadini, nel rispetto dei “diritti” e non per accordare lunghe catene di “favori” , aumentando le disuguaglianze.
Non richiamiamo le pagine dolenti su “etica” e “doveri” o i labirinti delle trappole europee. D’altronde la sproporzione tra pagamenti dei cittadini al fisco e mancata restituzione al pubblico di servizi come in tanti altri paesi europei è di fronte a tutti come uno scarto che condanna di per sé le pratiche di tanti interventi istituzionali. Peraltro nel libro viene citato l’Human Development Report dell’ONU che segnala come la “democrazia” sia un “lusso” di 82 Stati su 200. Quanto all’identità nazionale Ainis si chiede che significato abbiano richiami ripetuti a date o eventi che finiscono per assumere valori non più sentiti dai giovani come comune memoria umana collettività: è un ammonimento da non trascurare ma ridurre il 25 aprile alla vittoria di una “parte” appare di per sé una lettura di parte. Quando poi vengono affrontati temi di recente attualità come “indulto” o “intercettazione” entriamo sul piano di recentissime polemiche.
Come difendersi dalla illegalità invadente e dalle lobbies imperanti? Fa bene Ainis a denunciare la chiusura democratica provocata dalle liste “bloccate”, inserite nella legge elettorale del 2005. E chiediamo all’illustre giurista se non ritenga quella norma contraria al “metodo democratico” che la costituzione indica quale base dell’attività dei partiti. Come mai non vi fu allora una “ribellione” – neppure dei girotondini così pronti in altri casi – contro quella sottrazione del diritto di scelta ai cittadini? Ma qui entriamo nel complicato “gioco” delle convenienze personali, di casta o di partito, o del peso esercitato dai gruppi di pressione, dalla magistratura alla Rai, mentre “merito” e “responsabilità” svaniscono di fronte alla realtà italiana.
Questo libro fornisce al riguardo utili chiarimenti e intelligenti osservazioni, secondo quell’impronta incisiva che Ainis sa offrire nei suoi studi.