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Silvana Carletti (Dir.Resp.)
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8 ottobre 2024
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Torna Massimo Fini con Ragazzo. Storia di una vecchiaia (Marsilio, Venezia): l’ex giovane “ribelle” riflette sulla sua nuova condizione.
I saggi dello scrittore milanese lasciano il segno per un anticonformismo che è il suo segno più evidente. Questa è una specie di autobiografia amara: un “ragazzo” che a sessant’anni ripensa alla esperienza personale e trae considerazioni “de senectute”, intrecciando ricordi della sua giovinezza e le immagini di un passato “innocente” dal quale rinviene le sue preferenze, come i sentimenti, per giungere ad un presente, del quale sa cogliere gli elementi con saggezza critica.
E tutto ciò con una prosa che dà conto di amicizie (ad es. Paolo Mosca), di scontri generazionali, di canzoni, in una reminiscenza che – citando Aldo Busi – riconduce ad angosce di un mondo talmente lontano da noi da sembrare inverosimile. “Tutto è mutato”: nel tempo libero, sempre più disponibile, si può fare teoricamente tutto ciò che si vuole ma pesa il “dolore” in una vita ormai priva di illusioni. Vi è forse una insistenza eccessiva nel sottolineare gli elementi che offrono la testimonianza dello scorrere del tempo: la solitudine del vecchio nella società urbana presenta fattori sociologici, dai quali Fini tuttavia rifugge per soffermarsi sulle distanze intime ormai irrecuperabili. Il tono è sincero, non privo di una sottile ricerca che ripercorre le tappe proprie dell’esistenza come il pensiero di grandi saggi. Vi è l’infinita rincorsa dei sogni (belli o brutti che siano) e l’amarezza del risveglio. Il corpo assume nella vecchiaia un ruolo primario ma più forte rimane la valutazione di ciò che è stato come di ciò che è venuto a mancare. Tracce indelebili in una società che – a suo avviso – dal Sessantotto non ha saputo trarre emozioni vere ma solo pallide illusioni svanite.
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