Fascisti senza Mussolini di Giuseppe Parlato (Il Mulino, Bologna, 2007) è certamente l’opera più organicamente compiuta sulla storia del neofascismo clandestino sino all’affermazione - tra la galassia dei gruppi e gruppetti operanti tra il ’44 ed il ’48 - del MSI nella rivendicazione del legame con il passato regime.
E Parlato, con uno studio approfondito e circostanziato sin nei recessi della coscienza e del pensiero dei giovani allora impegnati in un sogno che sembrava impossibile, ha il merito di aver impostato l’ampia ricerca su punti molto chiari e precisi. Innanzitutto ha datato cronologicamente il fenomeno nell’immediato post 25 luglio ’43, cioè all’indomani della caduta del Mussolini, nel punto più drammatico della sua esperienza politica ed umana, mostrando come all’assoluta mancanza d’ogni reattività al crollo del capo da parte degli esponenti e funzionari del regime, abbia invece corrisposto un’animata serie di piccole iniziative dei “più piccoli” tra tanti fascisti rimasti in circolazione, e ne scrive sia per quanto riguarda la Sicilia che per le regioni ancora non occupate dagli Alleati.
In secondo luogo - e questo aspetto è quello storiograficamente più importante - ha ridimensionato quella interpretazione che tende, sulla scia di Tranfaglia, ma nella più specifica insistenza del libro di Casarrubea (quest’ultimo ha preso per “buona” qualsiasi lettera o accenno di missiva o ipotesi circa spie e spioni in un crescendo di complotti indimostrati), ad attribuire la spinta alla costituzione dei gruppi post-fascisti e dello stesso MSI alle sollecitazioni dei vincitori e dei settori più retrivi dell’Italia rimasta in piedi. Secondo tale tesi infatti sarebbero stati prevalentemente i servizi segreti americani, con il successivo concorso di ambienti cattolici conservatori ed altri gruppi interessati a favorire l’organizzazione prima delle cellule di stampo mussoliniano poi più direttamente del movimento nato nel dicembre ’46, e presto dimostratosi come il più influente e capace nel raccogliere i dispersi residui degli ex-fascisti, dei repubblichini, degli epurati e dei loro familiari. Ora è indubbio che quei contatti tra OSS e neo-fascisti vi furono, perché logicamente il carattere asimmetrico delle coalizioni internazionali in guerra rendeva necessario per gli USA cautelarsi nell’eventualità di uno scontro armato con i sovietici, il che in Italia avrebbe avuto quali protagonisti i comunisti, sopportati dal vicino Tito, e dalla più lontana URSS.
Il terzo punto forte del libro è l’aver seguito dettagliatamente il corso dei vari nuclei che, come si formavano e altrettanto rapidamente si sfarinavano tra il ’45 ed il ’47. Non si può tuttavia non osservare che quando però nell’anno seguente si profilano sviluppi più lineari e costanti non appare una alternativa netta sul piano dell’impostazione politica tra una linea Romualdi e quella di Almirante, nel senso che - pur nella contrapposizione - in entrambi vi è una ricerca affannosa legata alle opportunità che si presentano e non a scelte prestabilite. Molto ben interpretato lo stato d’animo dei vari attori della lacerante prova, con tutto il peso che grava attorno. Molti precisi i riferimenti al doppio piano delle “trattative”, con il PCI da un lato, con la DC dall’altro. Più trasparenti forse quelle con Botteghe Oscure perché si affrontano posizioni già di per sé così nette che non possono essere risolte in tempi brevi, tanto è vero che l’occasione sfugge, come Parlato spiega, anche perché da parte di quelli che sono ancora interlocutori ufficialmente “invisibili” sussistono elementi pregiudiziali non accettabili dall’altra parte. Non va tuttavia trascurato il fatto che la questione sia discussa ai massimi livelli politici. Aggiungiamo che prima delle elezioni del ’48 Brunelli scriverà articoli nel quotidiano di Vittorelli (che ha assunto la denominazione di “Italia socialista”), auspice Umberto Serafini di “Comunità”, chiarendo eventuali prospettive realizzabili. E parimenti la D.C. - oltre all’azione parallela ad ambienti cattolici di più ampio “giro” - fa pubblicare per vari mesi prima del 18 aprile un settimanale diretto da un reduce da Salò, Delisi, nel quale si sottolinea apertamente la "convenienza" a sostenere il partito di De Gasperi.
Molto si è letto negli ultimi tempi sull’argomento ma permangono aree non completamente esplorate, soprattutto a causa delle ombre suscitate da alcuni dei primi libri su questo tema, come nel caso di Tedeschi mentre, come risulta dagli accertamenti contenuti in questo libro sulla base di documenti certi, il “gioco” era alto, con fili tanto sottili da non essere facilmente percepibili nella loro interezza.
Sono forniti dati precisi sull’amnistia come sugli approntamenti paramilitari delle varie parti, ma non tali da inficiare le responsabilità esercitate in proposito rispettivamente dai politici e dalle autorità preposte alla sicurezza pubblica. A proposito del tono minimalista in previsione della campagna elettorale del ’48 che mostrerà Scelba nei confronti del neofascismo non va dimenticato che in quei mesi il governo italiano aveva rifiutato non solo il mantenimento di truppe USA che si stavano ritirando in applicazione del trattato di pace ma persino consiglieri militari che Washington aveva offerto (come ha illustrato Pastorelli in uno studio circostanziato) e quindi il governo doveva assolutamente mostrare di saper controllare ordine pubblico ed eventuali agitazioni, come appunto aveva dimostrato di essere in grado di fare.
Infine un evento minore andrebbe approfondito: il primo tentativo di “riconciliazione” effettuato a Roma (nel secondo semestre del ’46) per iniziativa dell’attentatore di Mussolini, Tito Zaniboni, un socialdemocratico ormai isolato, che anticipò di circa 50 anni, con alcuni giovani ex fascisti, ciò che è poi avvenuto nell’incontro tra Carlo Mazzantini e Rosario Bentivegna in tempi recenti. Nell’insieme si deve dare meritatamente atto all’autore di questo importante studio, ricco di salda impostazione e struttura storica.