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La terza via fascista. Il mito del corporativismo (Carocci, Roma, 2006)
IL CORPORATIVISMO COME “TERZA VIA”
NELLO STUDIO DI SANTOMASSIMO
lunedì 17 luglio 2006
di Carlo Vallauri
Argomenti: Sociologia
Argomenti: Recensioni Libri
Argomenti: Giampasquale Santomassimo
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La terza via fascista. Il mito del corporativismo (Carocci, Roma, 2006) di Giampasquale Santomassimo è certamente una delle opere più complete pubblicate nell’esperienza della istituzione politica-economica del regime fascista. L’autore, già noto per altri originali saggi sul ventennio mussoliniano, compie adesso una ricognizione ampia per spiegare le scelte che condussero a scegliere una linea di socialità differenziata sia dal liberalismo tradizionale sia dal collettivismo che stava infervorando i movimenti socialisti a favore del comunismo sovietico.
L’analisi più attenta è rivolta all’influenza esercitata dalla “nuova” dottrina nelle considerazioni e riflessioni internazionali ma soprattutto negli scritti e nei convegni di studiosi che indicavano in quella strada l’unica via d’uscita per condurre il paese al risanamento finanziario ed alla ripresa produttiva. Naturalmente in tale cornice, acquista rilievo la figura di Bottai dapprima come ministro delle corporazioni poi come punto di riferimento per gli intellettuali che vedevano nel superamento del dualismo privato-gestione pubblica il potenziale sbocco di una crisi di ideali e di valori ancor prima che di formule economiche. Merito di Santomassimo è da un lato di aver raccolto ed inquadrato organicamente le varie posizioni via via emerse nel dibattito che appassionava fior di menti eccelse quanto inquiete, dall’altro di aver esattamente fotografato le distanze delle idee e dei progetti da quella che è stata l’effettiva realtà della articolata costruzione corporativa.
Emerge così chiaramente come di fronte alle dispute astratte e generiche sull’argomento vi fosse una politica in materia agricola come per la industrializzazione che puntava, via via, a soddisfare gli interessi immediati delle categorie produttive. Queste in effetti erano le finalità insite nel complesso intrico di istituzioni che avrebbero dovuto governare le relazioni economiche ed in effetti le strade via via percorse si riconnettevano a necessità impellenti dell’attività pratica più che alle suggestioni derivate dalla formule con le quali si cercava di dare un impianto unitario ed innovativo al sistema corporativo. Le pagine sul famoso convegno di Ferrara del ’32, ed in particolare nelle tesi di Ugo Spirito, propugnatore di “corporazioni proprietarie”, sono dense di richiami, dai quali tuttavia risulta confermata l’assoluta astrattezza di tali programmi rispetto allo svolgersi effettivo della vita economica nazionale. Quelle idee rimasero un mero “specchietto” per sollecitare le insoddisfazioni dei fascisti “di sinistra”, delusi dall’andamento delle operazioni di Mussolini. Non a caso l’ultimo capitolo ha un titolo che si chiude con un interrogativo “un corporativismo reale?” e la risposta sottolinea come il divorzio tra parole e fatti, tra costituzione scritta - vanificata - e costituzione materiale degli anni ’30 sia il risultato di “inerzie contrapposte” che si sono paralizzate. Poiché l’argomento oggetto di questa approfondita ricerca è tutt’altro che chiuso, riteniamo che questa interessantissima opera costituisca un punto fermo in un dibattito che presenta tuttora elementi di meditazione.
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